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Archive for the ‘Alla scoperta dell’universo’ Category

MA LA SCOPERTA RENDE MENO PROBABILE L’ ipotesi della vita sul pianeta rosso

Fotografate sulla sonda della Nasa atterrata nei pressi del Polo Nord marziano

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Le gambe della sonda Phoenix con le gocce d’acqua salata (nel riquadro)

«Non c’è altra spiegazione: sono gocce d’acqua liquida distribuite sulle gambe della sonda Phoenix atterrata nei pressi del Polo Nord marziano». Peter Smith dell’Università dell’Arizona a Tucson e responsabile scientifico della missione della Nasa non ha dubbi. E spiega anche il perché queste gocce d’acqua, le prime ad essere viste sul Pianeta Rosso, si sono create e sono riuscite a mantenersi in quello stato. Nel terribile ambiente, con una pressione che è quasi l’uno per cento di quella della Terra e una temperatura costante abbondantemente sotto lo zero centigrado (nella sonda dello sbarco di Phoenix non né mai salita oltre i meno venti gradi centigradi) la condizione liquida è praticamente impossibile. Salvo alcune eccezioni, come spiegano i planetologi.

IPOTESI – Una prima ipotesi è che le gocce fotografate dalla camera della sonda si siano formate assorbendo vapore acqueo dall’atmosfera. Ma la chiave sta nel fatto che lo stato liquido si sarebbe conservato grazie al sale perclorato scoperto nella zona dagli strumenti della sonda. In laboratorio a Terra si è visto che un miscuglio di acqua e perclorato è rimasto liquido sino a una temperatura di settanta gradi sotto lo zero centigrado. Ma c’è un’altra spiegazione possibile per la nascita delle gocce. Durante la discesa Phoenix ha rallentato la sua corsa fino al suolo azionando dei propulsori a razzo che certamente hanno sciolto il ghiaccio d’acqua poi scoperto quasi in superficie dalla stessa sonda. E vaporizzato per l’intenso calore, mischiato al perclorato, si è quindi depositato in gocce sulle gambe del robot. Il sale di per sé è igroscopico e quindi tende ad assorbire l’acqua e questo completerebbe il quadro.

NON FAVOREVOLE ALLA VITA – La scoperta ha instillato un po’ di immaginazione quasi romantica negli scienziati del gruppo di ricerca: «Penso – nota Mark Bullock – che si possano immaginare le gambe di Phoenix come tutte ricoperte da un’esotica brina». Ma il ritrovamento, interessante per molti, ha sollevato qualche dubbio legato alla vita. Troppo sale nell’ambiente non sarebbe favorevole allo sviluppo degli organismi , favorito proprio dalla presenza dell’acqua. «Tutto dipende dalla concentrazione», precisa ottimisticamente Smith, lasciando aperta la porta alle prossime verifiche tra le sabbie rosse. Phoenix arrivato il 25 maggio 2008, dopo cinque messi di attività ha smesso di trasmettere paralizzato dal gelo. Ora potrebbe essere ricoperto dal ghiaccio di anidride carbonica che in questo periodo imbianca la zona. Quasi nulle sono le probabilità di un risveglio al ritiro dei ghiacci con l’arrivo della buona stagione.

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Dopo lo scontro in orbita segnalati spettacolari fenomeni

Stato di emergenza in Canada, apparizioni luminose in Italia, Kentucky e Texas

La «striscia di fuoco» apparsa in italia la sera del 13 febbraio registrata con una telecamera dall’astrofilo Diego Valeri di Contigliano (Rieti)

Ora i detriti spaziali («space debris» in inglese) fanno davvero paura. Nella regione di Alberta, in Canada, stanno tirando un respiro di sollievo per un impatto dallo spazio scongiurato in extremis . E poi in Texas, nel Kentucky e finanche nella nostra Italia, ecco stagliarsi nel cielo misteriose «palle di fuoco», ancora non si sa fino a che punto imparentate con i detriti spaziali o dipendenti da uno sciame di meteore.

PANICO IN CANADA – Partiamo dall’unico allarme sicuramente collegato con la caduta di un oggetto artificiale dall’orbita, quello scattato nella regione di Alberta. E’ successo alle prime ore del mattino di venerdì 13 febbraio, tempo locale, ma solo a emergenza superata ne sono stati rivelati i particolari. Il North American Aerospace Defence Command (NORAD) degli Stati Uniti, un ente che sorveglia lo spazio e tiene d’occhio tutti i corpi orbitanti attorno alla Terra, avverte i rappresentanti del governo canadese: «Un cargo spaziale russo delle dimensioni di un autobus, che era stato utilizzato per trasportare materiali sulla Stazione spaziale Internazionale, è fuori controllo e sta per precipitare su di voi. I calcoli indicano che potrebbe schiantarsi sulla città di Calgary, attorno alle 10 antimeridiane, ma la traiettoria è incerta. La stiamo definendo minuto per minuto. Vi faremo sapere». Scatta l’allarme degli operatori della protezione civile canadese, sia a livello nazionale che locale. Ci si interroga se sia il caso di avvertire la popolazione e predisporre piani di evacuazione, almeno nella parte più popolosa del centro cittadino. Mentre le concitate consultazioni sono in corso, si rifà vivo il NORAD: la traiettoria del maxi proiettile spaziale è cambiata, ora sembra puntare su Kneehill o su Wheatland Country, circa cento chilometri a est di Calgary. Lì, per fortuna, la densità della popolazione è più bassa, c’è meno pericolo di impatto diretto con le persone e le cose. Ma si affaccia un’altra preoccupazione. Il relitto del vettore russo contiene materiale radioattivo che, disperdendosi in seguito all’impatto, potrebbe contaminare una vasta aerea di territorio. Scattano altri livelli di allerta per il monitoraggio dell’eventuale nube radioattiva. «Ma proprio mentre un operatore del nostro staff stava per diffondere l’allarme al pubblico –racconta Colin Lloyd, direttore esecutivo dell’Agenzia di gestione delle emergenze dell’Alberta-, dal centro operativo di Ottawa ci arriva un contro ordine: il relitto spaziale è rimbalzato nell’atmosfera, finendo nell’Atlantico. Pericolo scongiurato. E’ una mattina che non dimenticheremo facilmente».

LO SCONTRO IN ORBITA – L’allarme spaziale dell’ Alberta segue di appena tre giorni uno scontro in orbita terrestre da primato, avvenuto il 10 febbraio, a circa 800 km di altezza, fra due satelliti per telecomunicazioni: il russo Kosmos 2251 e l’americano Iridium 33, rispettivamente da 1.000 e 500 kg di peso. Non era mai successo prima d’ora che due grandi satelliti, ciascuno ruotante sulla propria orbita, facessero un involontario urto frontale. (I cinesi, invece, due anni fa, avevano volontariamente effettuato un impatto fra un loro missile balistico e un satellite in disuso). A causa delle alte velocità in gioco (25 mila km all’ora), un crash spaziale genera migliaia di frammenti grandi e piccoli che, sparpagliandosi progressivamente in vari livelli orbitali, si possono trasformare in potenziali proiettili-killer a danno di altri satelliti, della Stazione spaziale abitata in permanenza dagli astronauti a 400 km di altezza e, scendendo più giù, della stessa Terra.

GLI AVVISTAMENTI «ITALIANI» – Per questo motivo, quando la sera del 13 febbraio l’astrofilo Diego Valeri da Contigliano (Rieti), specializzato nell’osservazione delle meteore, riesce a registrare con la sua telecamera per la sorveglianza del cielo una palla di fuoco dieci volte più luminosa della Luna , è inevitabile chiedersi se non si tratti di un frammento dello scontro orbitale, piuttosto che del solito sasso cosmico venuto giù dal cielo. E la domanda si fa più pressante quando analoghi avvistamenti vengono fatti, sempre la sera del 13 febbraio, ancora da altre località italiane e, oltre l’Atlantico, a Morehead nel Kentucky (dove l’apparizione è accompagnata da vibrazioni e boati).

FRA UFO E METEORE – Il 15 febbraio, poi, in molte località del Texas, un’altra palla di fuoco è talmente luminosa da rendersi visibile in pieno giorno. Fatti debiti calcoli, gli specialisti del NORAD escludono che le molteplici palle di fuoco possano essere i frammenti del crash spaziale. Un’ ipotesi alternativa è che si tratti di uno sciame di meteore, provenienti chissà da dove, che ha colpito il nostro pianeta, dando luogo a una molteplicità di fenomeni. Ma, mentre gli astronomi sono impegnati nei calcoli, le ipotesi, anche le più spericolate dei soliti ufologi, si affastellano. Il rischio che l’aumento della spazzatura spaziale possa costituire un pericolo sia per la navigazione spaziale e aerea, che per noi inermi abitanti della Terra, è stato intanto ribadito dal direttore dell’United Nation Office for Outer Space Affairs (UNOOOSA), Mazlan Othman, che ha richiamato al rispetto di una risoluzione già adottata dall’assemblea generale dell’ONU, che esorta a una non proliferazione degli «space debris», allo scopo di preservare l’ambiente spaziale e la sicurezza del pianeta. In pratica, a questo scopo, i vari Paesi del club spaziale, dovrebbero limitare le attività e le manovre potenzialmente pericolose e le agenzie addette al monitoraggio dei corpi artificiali dovrebbero migliorare le loro capacità di osservazione e calcolo per prevenire gli incidenti con la migliore regolazione dell’ormai congestionato traffico orbitale.

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Si tratta della prima collisione di questo tipo. paura per i detriti

Una stazione per telecomunicazioni di una società americana si è scontrata con una russa non più in uso

Lo spazio, almeno quello vicino alla Terra, comincia ad essere troppo affollato. Un satellite americano per le comunicazioni, di proprietà di una società privata, si è scontrato in orbita con un satellite russo non più in uso. Lo ha riferito un portavoce militare americano. Si tratta della prima collisione del genere nello spazio. Lo scontro ha riguardato un veicolo spaziale della Iridium Satellite Llc e un satellite russo, anch’esso per comunicazioni, ma «non operativo», ha spiegato il tenente colonnello dell’aviazione Les Kodlich, del Comando strategico Usa.
La collisione ha portato preoccupazioni nel mondo scientifico per la possibile ricaduta dei detriti sulla Terra. Gli scienziati stanno monitorando i detriti lasciati dai due satelliti, circa 500-600 frammenti che arrivano a essere piccoli anche solo 10 centimetri. Si prevede che per la maggior parte si dovrebbero incendiare e quindi disperdersi a contatto con l’atmosfera terrestre. L’agenzia spaziale russa (Roscosmos) ha assicurato che i detriti non rappresentano un pericolo per la Stazione Spaziale internazionale, in orbita a 350 chilometri dalla terra e quindi molto al di sotto del punto dell’impatto.

COLLISIONE – «Crediamo sia la prima volta che due satelliti collidono in orbita», ha detto Kodlich, rilevando che i detriti potrebbero essere un problema che potrebbe richiedere maggiori operazioni da parte delle nazioni impegnate nello spazio proprio per evitare che si producano detriti. Lo scontro ha spiegato l’ufficiale è avvenuto a un’altezza di circa 780 chilometri, una quota utilizzata da satelliti che monitorano il tempo, servono le comunicazioni ed effettuano osservazioni scientifiche.

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ha appena festeggiato il quinto compleanno sul pianeta rosso

Il robot della Nasa su Marte non risponde più in modo coerente ai comandi

Il robot «Spirit» della Nasa

Spirit, il robot della Nasa che ha appena festeggiato il quinto compleanno su Marte, dà segni di «confusione mentale». Gli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena che lo governano sono preoccupati. Durante il 1.800 esimo giorno marziano Spirit aveva ricevuto ordini per muoversi e intraprendere alcune azioni ma dopo un’intera giornata sembrava non aver sentito nulla e non si muoveva dal luogo in cui si trovata.

«Forse – dicevano i controllori cercando la risposta più buona per la loro creatura – il robot ha deciso che non era il momento più opportuno per darsi da fare e compiere ciò che gli era stato chiesto». Però lo stesso giorno Spirit doveva anche stivare sulla memoria non volatile, cioè quella che rimane anche se tutto viene spento, i dati raccolti e invece si guardava bene dal farlo. Come non bastasse, nel tentativo di ottenere risposta, i controllori gli chiedevano di guardare il Sole con la camera da ripresa determinando così con precisione la locazione. Questo perché avevano supposto che il robot non si muovesse perché aveva perduto la cognizione di dove si trovasse e non riusciva quindi a capire dove andare senza un riferimento preciso. E qui c’è stata un’altra sorpresa: ha obbedito al comando ma ha sbagliato a individuarlo. La confusione insomma persiste anche se qualche risposta riesce a darla. Che cosa potrebbe essere accaduto?

LE IPOTESI – L’ipotesi è che un’intensa pioggia di raggi cosmici abbia temporaneamente mandato in tilt l’elettronica del suo cervello come talvolta accade nei veicoli spaziali. «Adesso dobbiamo cercare di diagnosticare esattamente il guaio per poter rimediarvi», dice Sharon Laubach a capo del team che guida il robot. La preoccupazione è che il problema sia un segno della vecchiaia contro la quale si può fare ben poco anche sui robot come per gli umani. Ma la speranza di allungargli la vita a Pasadena resiste.

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