Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘alessio romero’

Stamattina ci son stati numerosi problemi di visualizzazione delle pagine di Repubblica e di altri siti del Gruppo L’Espresso(comprese edizioni locali)… hacker contro HuffingtonPost Italia promosso in questi giorni, o attacco al Gruppo L’Espresso?  http://www.repubblica.it/cronaca/2012/10/08/news/malfunzionamento_repubblica-44098144/

Read Full Post »

Dopo uno stop di petto, Dominique Niederhauser, portiere della formazione svizzera , ha colpito la palla con una potenza tale da sorvolare tutto il campo e insaccarsi alle spalle del portiere avversario. Uscito dalla sua area per anticipare un attaccante avversario, Niederhauser ha controllato la palla con il petto e poi ha lasciato partire un bolide che è finito in rete dopo aver sorvolato tutto il campo. Si trattava di un partita amatoriale ma in molti, sul web, l’hanno definito il gol più bello mai realizzato da un portiere.

Guarda il video

Read Full Post »

San Francisco: la barca a vela più veloce del mondo

Il trimarano ”Hydroptere” ha realizzato il record di velocità sul miglio nautico, a una velocità di 37,5 nodi (quasi 70 km l’ora) ma su tratte più brevi è capace di arrivare fino ai 100 km/h.

Read Full Post »

Scoperti dal ricercatori della Cattolica di Piacenza sull’Ortles-Cevedale

Li degradano durante la metabolizzazione. Potenzialità nel risanamento di ambienti contaminati

 MILANO – A muoverli è stata la passione per l’alpinismo e per il loro lavoro, fatto di ore in laboratorio a studiare. Fabrizio Cappa e Pier Sandro Cocconcelli, due microbiologi della facoltà di agraria della Cattolica di Piacenza, nel tempo libero e autofinanziandosi hanno da poco concluso i test di una ricerca davvero interessante. E forse anche utile. In tre anni di spedizioni i due hanno scoperto che sul ghiacciaio del Madaccio, nel massiccio montuoso dell’Ortles-Cevedale, vicino al passo dello Stelvio, vivono microrganismi in grado, anche a basse temperature, di nutrirsi e degradare i componenti organici inquinanti presenti nel ghiaccio.

A CACCIA DI CAMPIONI TRA I GHIACCI – «Abbiamo scelto questa zona perché è molto frequentata dai turisti e dunque ad alto impatto antropico», spiega a Corriere.it il professor Cappa. Che aggiunge: «Sono ambienti paradossalmente poco studiati dal punto di vista microbiologico rispetto ad altre aree quali i ghiacciai dell’Antartide o della Groenlandia». Così il gruppo di lavoro, aiutato dal professor Marco Trevisan dell’Istituto di chimica della facoltà di agraria, in accordo con il Parco nazionale dello Stelvio e la Provincia autonoma di Bolzano, grazie a sonde per il carotaggio appositamente costruite da una ditta piacentina, ha prelevato campioni di ghiaccio a valle dell’area dello sci estivo di passo Stelvio (3.150 metri di quota). Poi li ha sistemati in laboratorio e passati al microscopio. La prima scoperta, abbastanza prevedibile, è stata che il ghiaccio conteneva elevati contenuti di agenti inquinanti. E, in particolare, idrocarburi policiclici aromatici (provenienti della combustione dei derivati del petrolio) e policlorobifenili (Pcb), provenienti da lubrificanti. Tutti agenti presenti nello smog che arrivano sul ghiacciaio attraverso le piogge. E che il ghiacciaio, a sua volta, rilascia una volta che si scioglie.

MICRORGANISMI PULITORI – Distese bianche inquinate e inquinanti, dunque. E se, ahimé, questa non è certo una novità, a dare speranze è la seconda scoperta. Spiega Cappa: «Con il sequenziamento del Dna realizzato in facoltà abbiamo identificato il Frigobacterium sp., il Polaromonas sp., Pseudomonas sp. e il Micrococcus antarticus, tutti organismi già rivenuti in ghiacciai dell’Antartide o nel circolo polare artico». Significa che nelle carote di ghiaccio gli studiosi hanno trovato microrganismi in grado di degradare attraverso un processo di metabolizzazione gli agenti inquinanti. «Questi microrganismi estremofili riescono a metabolizzare gli agenti inquinanti anche a basse temperature, ripulendo così il ghiacciaio», afferma il ricercatore. Un sistema di autodifesa della natura, dunque, che ha interessato gli scienziati di tutto il mondo, al lavoro dall’Antartide al polo Nord. E che ha portato molti studiosi a infilarsi gli scarponi e a preparare l’attrezzatura da trekking. «I microrganismi, la loro abilità di sopravvivenza in condizioni climatiche estreme e la loro utilità per l’uomo sono temi di grande fascino, che coinvolgono centri di ricerca di ogni nazionalità: nel Regno Unito, per esempio, sta per partire un progetto di rilevazione in un lago situato a 3 chilometri di profondità nei ghiacciai antartici».

//

AL LAVORO PER RIPULIRE LE NEVI – Fabrizio Cappa e i suoi colleghi hanno presentano i risultati del lavoro al convegno di Simtrea (Società italiana di microbiologia agraria, alimentare e ambientale), dal titolo Microbial Diversity: Environmental Stress and Adaptation. Con l’obiettivo di pubblicarli sulle riviste scientifiche dando così risalto alla loro ricerca. A suscitare interesse è infatti la possibile applicazione di questa scoperta. «Dobbiamo capire con le adeguate prove di laboratorio quali siano le sue potenzialità nel risanamento (bioremediation) di ambienti inquinati», sostiene Cappa. Che aggiunge: «Oltre a ripulire piccole porzioni di ghiacciaio contaminate, cosa già di per sé utile, dato lo scioglimento dei ghiacci in atto a causa dei cambiamenti climatici, i microrganismi potrebbero essere usati anche in pianura durante l’inverno». Sarebbe dunque possibile farli lavorare proprio dove c’è più bisogno e nelle zone più contaminate? «Non solo. Lo scioglimento dei ghiacci comporta di per sé, durante le stagioni più calde, il rilascio degli agenti inquinanti immagazzinati durante l’inverno. E i microrganismi, se lavorano a regime, potrebbero prevenire questo fenomeno». Come dire che dando un aiuto a semplici forme di vita non visibili a occhio nudo, si potrebbe dare un po’ di tregua all’ambiente.

Read Full Post »

Mentre Facebook lancia nuovi bottoni per far circolare i contenuti online ,Google annuncia la fine del periodo a inviti e apre a tutti (o meglio a chi ne abbia voglia) il suo Google+. Il social network di Big G inoltre punta pesantamente sulle funzioni di videochat, anzi sui videoincontri come li chiamano loro (a me fa tanto chat erotica… “Videoincontrami, mmmm”). Le novità sono presentate sul blog ufficiale di Google, che elenca i 100 miglioramentiche la piattaforma social ha implementato dal giorno zero a oggi.

Vediamo se stavolta, con l’apertura a tutti, Google riuscirà a ritagliarsi un posto alla ricca tavola dei social network. Nel mio piccolo, a fronte di pochi amici entusiasti di “guglplas” e parecchio attivi, ho una pletora di conoscenti che lo snobbano del tutto oppure si sono iscritti ma non condividono nulla. In compenso la mia Gmail è spammata quotidianamente da  sconosciuti che mi hanno aggiunto alle loro “Cerchie” (devo decidermi a togliere l’alert). E condividere un album di foto Picasa con poche persone scelte è diventato molto più complicato dell’era pre-Plus. Di certo, rispetto a Facebook, Google+ è meno intuitivo anche se più versatile. Temo che il fattore usabilità possa rivelarsi decisivo, ma il volume di fuoco messo in campo da Mountain View, anche e soprattutto sul fronte smartphone (videoincontri su piattaforma Android e a breve anche iOs), è notevole.

Read Full Post »

Per mantenere il proprio ruolo di leader indiscusso non solo come social network, ma anche come piattaforma di veicolazione di contenuti online. Dal New York Times a Tech Crunch, i rumors sono molti e dovrebbero essere confermati durante l’F8 Developer Conference. Oltre al servizio rumoreggiato di musica online – con Spotify e Rapsody –, l’idea di Palo Alto sarebbe quella di creare nuovi strumenti di condivisione di contenuti tra gli utenti. Non solo di quelli personali, ma anche di spettacoli televisivi, film, libri e canzoni. Magari con piccoli assaggi per poi passare a una qualche forma di acquisto.

 

Le modalità, come gli eventuali accordi sui diritti, sono ancora da capire. In ogni caso la nuova idea di Facebook sarebbe quella di invitare gli utenti a far girare tra gli amici i propri contenuti preferiti, arrivando così a creare un incredibile circolo virtuoso (soprattutto per chi produce i contenuti) di diffusione di consigli tra i 750 milioni di facebookers. Con la relativa ricchezza di dati puntuali sui gusti personali di ognuno. Tutto il sistema dovrebbe girare attorno all’esplosione dei bottoni in stile “Like”. Su FB, accanto al “Mi piace”, dovrebbero dunque comparire tasti come “Read” (Letto), “Listened” (Ascoltato), “Watched” (Visto) per segnalare e consigliare agli amici non solo notizie (o libri), ma anche il film o la canzone che ci sono piaciuti.

Read Full Post »

Con l’aggiornamento dell’algoritmo di ricerca denominato Panda Update, Google dichiara ufficialmente guerra alle Content Farm, cercando di dare minor peso ai loro contenuti nei risultati di ricerca e dare un vantaggio ai veri produttori di contenuti originali.
Per chi non sapesse cos’è una Content Farm, si può dire sia una sorta di aggregatore di notizie che aggiunge poco o nulla di nuovo alle informazioni della fonte originale e che punta molto sulla quantità, spesso copiando i contenuti di altri siti. Come sappiamo, l’algoritmo di Google premia sicuramente gli aggiornamenti costanti e forse qualcuno ne ha abusato veramente troppo in passato, scalando i risultati di ricerca.

Chiunque abbia un blog od un sito, avrà notato che spesso e volentieri si viene superati nei risultati di ricerca da aggregatori che magari dal motore di ricerca vengono considerati siti con più autorità, magari soltanto perché risultano online da tanto tempo e dispongono di moltio contenuti, anche se magari di pessima qualità perchè “copiati” (anche se la maggior parte degli aggregatori riporta una parte degli articoli e poi rimanda al post originale mediante un link).

Ecco quindi tutti i siti con il traffico crollato dopo l’aggiornamento dell’algoritmo di google, si tratta di crolli a 2 cifre quasi sempre superiori al 50% che colpiscono molte content farm (fonte searchmetrics):

 

Ecco invece chi ha tratto beneficio dalle nuove ricerche di Google Panda guadagnando un bel po’ di visitatori in più a discapito delle content farm:

Read Full Post »

Fonde il silicio dei granelli che raffreddandosi si trasforma in vetro realizzando vasi e bicchieri

Markus Kayser all'opera con la sua stampante 3D

Non solo stampa in 3D, ma lo fa usando la sabbia del deserto del Sahara. Markus Kayser, 28 anni, studente tedesco del Royal College of Arts di Londra, all’impresa impossibile stava pensando già da qualche tempo. «L’anno scorso ero nel deserto egiziano a testare la mia macchina a pannelli solari, la Sun Cutter», scrive sul suo sito. «Durante l’esperimento mi sono reso conto che usando il potere della luce e impiegando la sabbia – due elementi che sulle dune non mancano di certo – potevo dare vita a oggetti in vetro».

//

GENIO DEL DESERTO – Così da quel momento Markus non ha smesso un minuto di lavorare alla sua teoria. Poi, in febbraio, è riuscito a perfezionarla nel Sahara marocchino. E a Siwa, in Egitto, ha potuto gridare eureka. La Sun Cutter si era finalmente evoluta nella Solar Sinter 3D. Il sistema è complesso, ma semplice (e geniale allo stesso tempo) è l’idea che sta alla base di tutto. Il silicio contenuto nella sabbia, riscaldato fino al punto di fusione e poi raffreddato, solidificandosi diventa vetro. Questo processo di conversione è stato utilizzato negli ultimi anni per la tecnologia delle stampanti 3D. Strumenti che creano oggetti praticamente dal nulla. Markus ha aggiunto all’impianto i raggi del sole della sua macchina solare, utili per scaldare il silicio. Ed è così riuscito a creare suppellettili di ogni tipo, dai vasi ai bicchieri, in un luogo davvero impervio. Il tutto partendo – è il caso di dirlo – dalla cosa più semplice al mondo: un granello di sabbia.

 

Read Full Post »

Non meno di due settimane fa in un articolo (“Faccio il dottorato per fare una startup”) asi era ribadito come per i nostri ricercatori universitari il mondo dell’impresa resti un qualcosa di molto, troppo lontano: da una parte mancano competenze di business e di management, dall’altra il sistema accademico non è strutturato per favorire la nascita di imprese quanto piuttosto di professori (il dottorato è pensato ed organizzato come una porta d’accesso al mondo univeristario, non a quello dell’impresa). Venerdì a Stanford, Burton Lee ha annunciato estremamente soddisfatto una grande novità nelle politiche dell’innovazione: Gli Innovation Corps (I-Corps), lanciati dal National Science Foundation (NSF), l’agenzia governativa americana che supporta la ricerca in tutti i campi diversi dalla medicina. Obiettivo: trasformare i più promettenti progetti di ricerca in startups. Come? Formandoli su quelle aree dove i ricercatori sono, per loro natura e preparazione, più deboli: la valutazione delle possibilità di commercializzazione dei risultati della propria ricerca. I ricercatori verranno portati fuori dai laboratori (al di fuori della loro “comfort zone”) per incontrare e scoprire chi possono essere i loro potenziali clienti, valutare tecnologie alternative e competitive e comprendere quali sono le risorse necessarie per commercializzare i prodotti. In poche parole per provare ad abbozzare una risposta alla domanda più difficile che ci sia: “What value will this innovation add to the marketplace?” Un programma di 6 mesi destinato ogni anno ai 100 programmi di ricerca più interessanti. Alla fine del percorso (che si chiude con un Demno Day) i gruppi di ricerca dovrebbero essere nelle condizioni di valutare la bontà (in termini di potenzialità commerciali) della propria attività di ricerca e decidere se licenziare la proprietà intellettuale e continuare a fare ricerca o se “cross the Rubicon” ed avviare uno spin-off. In quanti lanceranno il famoso dado? Difficile dirlo, ma il governo americano la sua parte la ha fatta. E molto bene, almeno al giudizio di Burton Lee, che a Stanford si occupa di come trasformare la ricerca in business. A quando gli I-Corps in Italia?

Read Full Post »

Un’azienda su cinque ha installato servizi di messaggeria istantanea interna. Distrae meno ed è più rapida: “Meglio della posta elettronica”

IL TELEFONO l’ha già seppellito. Le lettere cartacee, le ha incenerite. Adesso la chat aziendale punta all’obiettivo grosso: strappare alle email il ruolo di strumento più veloce, economico e diffuso per comunicare in ufficio. Impresa non facile, se si considera che nei cinque paesi più ricchi d’Europa vengono scambiate 3,6 miliardi di e-mail al giorno, 560 milioni solo in Italia. Il servizio di messaggeria istantanea interno è sicuramente più immediato e interattivo. Si va diretti al punto, non si perde tempo in convenevoli, è interazione immediata e senza filtri, come quella necessaria tra due colleghi che devono fissare una riunione, decidere un progetto o stabilire un orario. Ma alle aziende risolve anche un altro problema, più legato alla produttività. Si riducono drasticamente le distrazioni e i fraintendimenti tra i dipendenti. E per questo una su cinque in Italia ha tagliato la vecchia email installando chat interne.

In media ogni utente, quindi ogni dipendente, utilizza due caselle private, oltre a quella aziendale. Spende circa un’ora al giorno per leggere le lettere, rispondere ai messaggi, cancellare tonnellate di mail spazzatura. In ufficio si apre la posta di lavoro per controllare le comunicazioni dei colleghi e si finisce a scartabellare virtualmente tra 31 mail, che sono quelle che un utente riceve mediamente ogni giorno e alle quali quasi sempre risponde. La metà delle lettere digitali riguarda questioni di lavoro, certo. Ma il resto sono potenziali disattenzioni lavorative: da lettere
di news e informazione (34%), a quelle che trattano di viaggi (20%), l’arte (18%), lo sport e la cucina (13 %). Con la chat aziendale, il tempo perso si riduce al minimo, perché la comunicazione viene incanalata tutta lì. Non ci sono scuse per controllare le caselle di posta private o svagarsi su altri social network.

È anche per questo che il 20 per cento delle ditte italiane, secondo una ricerca di Manageritalia, ha creato reti interne di messaggeria istantanea, ad uso esclusivo dei propri lavoratori. Niente Facebook, Linkedin, Messenger e compagnia. Per i guru del web come Google Italia, Microsoft, Cisco è quasi una filosofia di vita, “chatto ergo sum”. I dipendenti possono stare sempre connessi e comunicare anche da casa, grazie agli smartphone. Google ha attivato servizi di videochat istantanea. E sono nate community interne, veri e propri social network aziendali. “Si scambiano idee, suggerimenti, ma anche foto e video – dice Enrico Pedretti, capo marketing di Manageritalia – è il modo migliore di fare “team building”, di rafforzare cioè la coesione tra i lavoratori e il legame con l’azienda. Le chat interne e le community diventano fondamentali quando due o più persone devono lavorare allo stesso progetto e si trovano in stanze diverse, se non in città diverse. Con le email spesso, su questioni complicate, si creano incomprensioni e dubbi, che si chiarificano solo mandando altre email. Insomma si perde tempo”.

E il rischio che uno scambio di lavoro via chat si trasformi in una chiacchierata da bar? “I fannulloni ci sono sempre stati – risponde Pedretti – c’erano prima delle email e delle chat e ci saranno poi. Le aziende che scelgono il servizio di messaggeria istantanea interna, per tagliare o ridurre l’uso delle caselle di posta esterne, fanno firmare delle policy ai dipendenti e quindi, come con la posta aziendale, hanno il diritto di fare dei controlli”. L’età della pensione della posta elettronica, però è ancora lontana. Nata nel 1972, è entrata a far parte delle nostre vite nella seconda metà degli anni Novanta. “Rispetto alla chat mantiene un tono più formale che spesso in azienda è ancora richiesto – osserva Alessandra Ceccarelli, vicedirettore di Federmanager – oltretutto è ancora indispensabile per mandare messaggi riservati, newsletter e file allegati”.

Read Full Post »