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Scoperti dal ricercatori della Cattolica di Piacenza sull’Ortles-Cevedale

Li degradano durante la metabolizzazione. Potenzialità nel risanamento di ambienti contaminati

 MILANO – A muoverli è stata la passione per l’alpinismo e per il loro lavoro, fatto di ore in laboratorio a studiare. Fabrizio Cappa e Pier Sandro Cocconcelli, due microbiologi della facoltà di agraria della Cattolica di Piacenza, nel tempo libero e autofinanziandosi hanno da poco concluso i test di una ricerca davvero interessante. E forse anche utile. In tre anni di spedizioni i due hanno scoperto che sul ghiacciaio del Madaccio, nel massiccio montuoso dell’Ortles-Cevedale, vicino al passo dello Stelvio, vivono microrganismi in grado, anche a basse temperature, di nutrirsi e degradare i componenti organici inquinanti presenti nel ghiaccio.

A CACCIA DI CAMPIONI TRA I GHIACCI – «Abbiamo scelto questa zona perché è molto frequentata dai turisti e dunque ad alto impatto antropico», spiega a Corriere.it il professor Cappa. Che aggiunge: «Sono ambienti paradossalmente poco studiati dal punto di vista microbiologico rispetto ad altre aree quali i ghiacciai dell’Antartide o della Groenlandia». Così il gruppo di lavoro, aiutato dal professor Marco Trevisan dell’Istituto di chimica della facoltà di agraria, in accordo con il Parco nazionale dello Stelvio e la Provincia autonoma di Bolzano, grazie a sonde per il carotaggio appositamente costruite da una ditta piacentina, ha prelevato campioni di ghiaccio a valle dell’area dello sci estivo di passo Stelvio (3.150 metri di quota). Poi li ha sistemati in laboratorio e passati al microscopio. La prima scoperta, abbastanza prevedibile, è stata che il ghiaccio conteneva elevati contenuti di agenti inquinanti. E, in particolare, idrocarburi policiclici aromatici (provenienti della combustione dei derivati del petrolio) e policlorobifenili (Pcb), provenienti da lubrificanti. Tutti agenti presenti nello smog che arrivano sul ghiacciaio attraverso le piogge. E che il ghiacciaio, a sua volta, rilascia una volta che si scioglie.

MICRORGANISMI PULITORI – Distese bianche inquinate e inquinanti, dunque. E se, ahimé, questa non è certo una novità, a dare speranze è la seconda scoperta. Spiega Cappa: «Con il sequenziamento del Dna realizzato in facoltà abbiamo identificato il Frigobacterium sp., il Polaromonas sp., Pseudomonas sp. e il Micrococcus antarticus, tutti organismi già rivenuti in ghiacciai dell’Antartide o nel circolo polare artico». Significa che nelle carote di ghiaccio gli studiosi hanno trovato microrganismi in grado di degradare attraverso un processo di metabolizzazione gli agenti inquinanti. «Questi microrganismi estremofili riescono a metabolizzare gli agenti inquinanti anche a basse temperature, ripulendo così il ghiacciaio», afferma il ricercatore. Un sistema di autodifesa della natura, dunque, che ha interessato gli scienziati di tutto il mondo, al lavoro dall’Antartide al polo Nord. E che ha portato molti studiosi a infilarsi gli scarponi e a preparare l’attrezzatura da trekking. «I microrganismi, la loro abilità di sopravvivenza in condizioni climatiche estreme e la loro utilità per l’uomo sono temi di grande fascino, che coinvolgono centri di ricerca di ogni nazionalità: nel Regno Unito, per esempio, sta per partire un progetto di rilevazione in un lago situato a 3 chilometri di profondità nei ghiacciai antartici».

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AL LAVORO PER RIPULIRE LE NEVI – Fabrizio Cappa e i suoi colleghi hanno presentano i risultati del lavoro al convegno di Simtrea (Società italiana di microbiologia agraria, alimentare e ambientale), dal titolo Microbial Diversity: Environmental Stress and Adaptation. Con l’obiettivo di pubblicarli sulle riviste scientifiche dando così risalto alla loro ricerca. A suscitare interesse è infatti la possibile applicazione di questa scoperta. «Dobbiamo capire con le adeguate prove di laboratorio quali siano le sue potenzialità nel risanamento (bioremediation) di ambienti inquinati», sostiene Cappa. Che aggiunge: «Oltre a ripulire piccole porzioni di ghiacciaio contaminate, cosa già di per sé utile, dato lo scioglimento dei ghiacci in atto a causa dei cambiamenti climatici, i microrganismi potrebbero essere usati anche in pianura durante l’inverno». Sarebbe dunque possibile farli lavorare proprio dove c’è più bisogno e nelle zone più contaminate? «Non solo. Lo scioglimento dei ghiacci comporta di per sé, durante le stagioni più calde, il rilascio degli agenti inquinanti immagazzinati durante l’inverno. E i microrganismi, se lavorano a regime, potrebbero prevenire questo fenomeno». Come dire che dando un aiuto a semplici forme di vita non visibili a occhio nudo, si potrebbe dare un po’ di tregua all’ambiente.

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