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Archive for the ‘Tecnologia e ambiente’ Category

Stamattina ci son stati numerosi problemi di visualizzazione delle pagine di Repubblica e di altri siti del Gruppo L’Espresso(comprese edizioni locali)… hacker contro HuffingtonPost Italia promosso in questi giorni, o attacco al Gruppo L’Espresso?  http://www.repubblica.it/cronaca/2012/10/08/news/malfunzionamento_repubblica-44098144/

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San Francisco: la barca a vela più veloce del mondo

Il trimarano ”Hydroptere” ha realizzato il record di velocità sul miglio nautico, a una velocità di 37,5 nodi (quasi 70 km l’ora) ma su tratte più brevi è capace di arrivare fino ai 100 km/h.

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Scoperti dal ricercatori della Cattolica di Piacenza sull’Ortles-Cevedale

Li degradano durante la metabolizzazione. Potenzialità nel risanamento di ambienti contaminati

 MILANO – A muoverli è stata la passione per l’alpinismo e per il loro lavoro, fatto di ore in laboratorio a studiare. Fabrizio Cappa e Pier Sandro Cocconcelli, due microbiologi della facoltà di agraria della Cattolica di Piacenza, nel tempo libero e autofinanziandosi hanno da poco concluso i test di una ricerca davvero interessante. E forse anche utile. In tre anni di spedizioni i due hanno scoperto che sul ghiacciaio del Madaccio, nel massiccio montuoso dell’Ortles-Cevedale, vicino al passo dello Stelvio, vivono microrganismi in grado, anche a basse temperature, di nutrirsi e degradare i componenti organici inquinanti presenti nel ghiaccio.

A CACCIA DI CAMPIONI TRA I GHIACCI – «Abbiamo scelto questa zona perché è molto frequentata dai turisti e dunque ad alto impatto antropico», spiega a Corriere.it il professor Cappa. Che aggiunge: «Sono ambienti paradossalmente poco studiati dal punto di vista microbiologico rispetto ad altre aree quali i ghiacciai dell’Antartide o della Groenlandia». Così il gruppo di lavoro, aiutato dal professor Marco Trevisan dell’Istituto di chimica della facoltà di agraria, in accordo con il Parco nazionale dello Stelvio e la Provincia autonoma di Bolzano, grazie a sonde per il carotaggio appositamente costruite da una ditta piacentina, ha prelevato campioni di ghiaccio a valle dell’area dello sci estivo di passo Stelvio (3.150 metri di quota). Poi li ha sistemati in laboratorio e passati al microscopio. La prima scoperta, abbastanza prevedibile, è stata che il ghiaccio conteneva elevati contenuti di agenti inquinanti. E, in particolare, idrocarburi policiclici aromatici (provenienti della combustione dei derivati del petrolio) e policlorobifenili (Pcb), provenienti da lubrificanti. Tutti agenti presenti nello smog che arrivano sul ghiacciaio attraverso le piogge. E che il ghiacciaio, a sua volta, rilascia una volta che si scioglie.

MICRORGANISMI PULITORI – Distese bianche inquinate e inquinanti, dunque. E se, ahimé, questa non è certo una novità, a dare speranze è la seconda scoperta. Spiega Cappa: «Con il sequenziamento del Dna realizzato in facoltà abbiamo identificato il Frigobacterium sp., il Polaromonas sp., Pseudomonas sp. e il Micrococcus antarticus, tutti organismi già rivenuti in ghiacciai dell’Antartide o nel circolo polare artico». Significa che nelle carote di ghiaccio gli studiosi hanno trovato microrganismi in grado di degradare attraverso un processo di metabolizzazione gli agenti inquinanti. «Questi microrganismi estremofili riescono a metabolizzare gli agenti inquinanti anche a basse temperature, ripulendo così il ghiacciaio», afferma il ricercatore. Un sistema di autodifesa della natura, dunque, che ha interessato gli scienziati di tutto il mondo, al lavoro dall’Antartide al polo Nord. E che ha portato molti studiosi a infilarsi gli scarponi e a preparare l’attrezzatura da trekking. «I microrganismi, la loro abilità di sopravvivenza in condizioni climatiche estreme e la loro utilità per l’uomo sono temi di grande fascino, che coinvolgono centri di ricerca di ogni nazionalità: nel Regno Unito, per esempio, sta per partire un progetto di rilevazione in un lago situato a 3 chilometri di profondità nei ghiacciai antartici».

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AL LAVORO PER RIPULIRE LE NEVI – Fabrizio Cappa e i suoi colleghi hanno presentano i risultati del lavoro al convegno di Simtrea (Società italiana di microbiologia agraria, alimentare e ambientale), dal titolo Microbial Diversity: Environmental Stress and Adaptation. Con l’obiettivo di pubblicarli sulle riviste scientifiche dando così risalto alla loro ricerca. A suscitare interesse è infatti la possibile applicazione di questa scoperta. «Dobbiamo capire con le adeguate prove di laboratorio quali siano le sue potenzialità nel risanamento (bioremediation) di ambienti inquinati», sostiene Cappa. Che aggiunge: «Oltre a ripulire piccole porzioni di ghiacciaio contaminate, cosa già di per sé utile, dato lo scioglimento dei ghiacci in atto a causa dei cambiamenti climatici, i microrganismi potrebbero essere usati anche in pianura durante l’inverno». Sarebbe dunque possibile farli lavorare proprio dove c’è più bisogno e nelle zone più contaminate? «Non solo. Lo scioglimento dei ghiacci comporta di per sé, durante le stagioni più calde, il rilascio degli agenti inquinanti immagazzinati durante l’inverno. E i microrganismi, se lavorano a regime, potrebbero prevenire questo fenomeno». Come dire che dando un aiuto a semplici forme di vita non visibili a occhio nudo, si potrebbe dare un po’ di tregua all’ambiente.

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Fonde il silicio dei granelli che raffreddandosi si trasforma in vetro realizzando vasi e bicchieri

Markus Kayser all'opera con la sua stampante 3D

Non solo stampa in 3D, ma lo fa usando la sabbia del deserto del Sahara. Markus Kayser, 28 anni, studente tedesco del Royal College of Arts di Londra, all’impresa impossibile stava pensando già da qualche tempo. «L’anno scorso ero nel deserto egiziano a testare la mia macchina a pannelli solari, la Sun Cutter», scrive sul suo sito. «Durante l’esperimento mi sono reso conto che usando il potere della luce e impiegando la sabbia – due elementi che sulle dune non mancano di certo – potevo dare vita a oggetti in vetro».

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GENIO DEL DESERTO – Così da quel momento Markus non ha smesso un minuto di lavorare alla sua teoria. Poi, in febbraio, è riuscito a perfezionarla nel Sahara marocchino. E a Siwa, in Egitto, ha potuto gridare eureka. La Sun Cutter si era finalmente evoluta nella Solar Sinter 3D. Il sistema è complesso, ma semplice (e geniale allo stesso tempo) è l’idea che sta alla base di tutto. Il silicio contenuto nella sabbia, riscaldato fino al punto di fusione e poi raffreddato, solidificandosi diventa vetro. Questo processo di conversione è stato utilizzato negli ultimi anni per la tecnologia delle stampanti 3D. Strumenti che creano oggetti praticamente dal nulla. Markus ha aggiunto all’impianto i raggi del sole della sua macchina solare, utili per scaldare il silicio. Ed è così riuscito a creare suppellettili di ogni tipo, dai vasi ai bicchieri, in un luogo davvero impervio. Il tutto partendo – è il caso di dirlo – dalla cosa più semplice al mondo: un granello di sabbia.

 

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Non meno di due settimane fa in un articolo (“Faccio il dottorato per fare una startup”) asi era ribadito come per i nostri ricercatori universitari il mondo dell’impresa resti un qualcosa di molto, troppo lontano: da una parte mancano competenze di business e di management, dall’altra il sistema accademico non è strutturato per favorire la nascita di imprese quanto piuttosto di professori (il dottorato è pensato ed organizzato come una porta d’accesso al mondo univeristario, non a quello dell’impresa). Venerdì a Stanford, Burton Lee ha annunciato estremamente soddisfatto una grande novità nelle politiche dell’innovazione: Gli Innovation Corps (I-Corps), lanciati dal National Science Foundation (NSF), l’agenzia governativa americana che supporta la ricerca in tutti i campi diversi dalla medicina. Obiettivo: trasformare i più promettenti progetti di ricerca in startups. Come? Formandoli su quelle aree dove i ricercatori sono, per loro natura e preparazione, più deboli: la valutazione delle possibilità di commercializzazione dei risultati della propria ricerca. I ricercatori verranno portati fuori dai laboratori (al di fuori della loro “comfort zone”) per incontrare e scoprire chi possono essere i loro potenziali clienti, valutare tecnologie alternative e competitive e comprendere quali sono le risorse necessarie per commercializzare i prodotti. In poche parole per provare ad abbozzare una risposta alla domanda più difficile che ci sia: “What value will this innovation add to the marketplace?” Un programma di 6 mesi destinato ogni anno ai 100 programmi di ricerca più interessanti. Alla fine del percorso (che si chiude con un Demno Day) i gruppi di ricerca dovrebbero essere nelle condizioni di valutare la bontà (in termini di potenzialità commerciali) della propria attività di ricerca e decidere se licenziare la proprietà intellettuale e continuare a fare ricerca o se “cross the Rubicon” ed avviare uno spin-off. In quanti lanceranno il famoso dado? Difficile dirlo, ma il governo americano la sua parte la ha fatta. E molto bene, almeno al giudizio di Burton Lee, che a Stanford si occupa di come trasformare la ricerca in business. A quando gli I-Corps in Italia?

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Due fisici lo avevano previsto: è il futuro a sabotarla

Lasciata cadere da un uccellino, manda in tilt l’acceleratore del Cern di Ginevra

Il Collider del Cern

Gli americani dicono «the devil is in the details», il diavolo sta nei detta­gli. Ma anche Dio — diciamolo — non se la cava male, quando ci si mette. Il Large Hadron Collider (in italiano: grande colli­sore di adroni) è un acceleratore di parti­celle presso il Cern di Ginevra, il più grande e potente mai realizzato. Lungo 27 chilometri, costato 4,9 miliardi di eu­ro, dovrebbe provare l’esistenza del «bo­sone di Higgs», detto anche «la particella di Dio», che fornisce la massa alla mate­ria nell’universo e simula il Big Bang Be’, si è fermato: ci hanno tro­vato dentro mollica di pane. Nessuno sa come sia finita lì. Tecnicamente, essendo Ginevra nella Svizzera francese, si tratta­va di mollica di baguette. Duran­te l’ispezione si è scoperto che aveva messo fuori uso una delle unità esterne di raffreddamen­to che mantengono la tempera­tura a 1,9 gradi sopra lo zero as­soluto. Una portavoce del Cern ha detto:

L’UCCELLINO- «Supponiamo sia sta­to portato da un volatile oppure sia caduto da un aeroplano di passaggio». Titola il sito www. smartplanet. com : « Uccel­lino con Baguette 1 – Big Bang 0». Sembra un buon riassunto. Fin qui, la vicenda appare di­vertente e paradossale. Una macchina studiata per accelera­re protoni e ioni pesanti fino al 99,9999991% della velocità del­la luce, e scoprire l’origine del­l’universo, bloccata da una bri­ciola. Il più grande e costoso esperimento della fisica mon­diale sconfitto (temporanea­mente) dalla panetteria quoti­diana. Materiale per umoristi scientifici o scienziati dotati di senso dell’umorismo.

IL PRECEDENTE «INQUIETANTE» – C’è un precedente, però, che rende la faccenda fascinosa e/o inquie­tante (fate voi). Quando il Large Hadron Colli­der venne inaugurato, il 10 set­tembre 2008, un’esplosione di scintille, fumo ed elio refrigera­to lo ha spento. Un incidente bizzarro, e mai del tutto spiega­to. Dennis Overbye, sul New York Times , ha lanciato una supposizione (segnalata e tra­dotta da Enrico De Simone sul sito L’Occidentale ). L’articolo del NYT è uscito lo scorso 13 ot­tobre — quindi PRIMA che il vo­latile, l’aeroplano, il caso, il de­stino o Altro depositassero mol­lica di pane nel sincrotrone. Leg­gete, e stupitevi. Scriveva Overbye, tre settima­ne fa: «… il Large Hadron Colli­der è pronto per ripartire (…) Sa­rà il momento per verificare una delle più bizzarre e rivolu­zionarie teorie scientifiche mai sentite (…) Sto parlando del­l’ipotesi secondo cui a sabotare il travagliato sincrotrone sareb­be niente meno che il suo stes­so futuro. Una coppia di affer­mati fisici ha suggerito che l’ipo­tetico bosone di Higgs, che gli scienziati sperano di produrre grazie all’LHC, potrebbe essere a tal punto scabroso per la natu­ra che la sua creazione sarebbe sufficiente a produrre un ritor­no al passato e a fermare il sin­crotrone prima che ne produca uno. Come un viaggiatore del tempo che tornasse indietro ne­gli anni per uccidere il proprio nonno » . I fisici in questione sono Hol­ger Bech Nielsen, dell’Istituto Niels Bohr di Copenhagen, e il giapponese Masao Ninomiya, dell’Istituto Yukawa di fisica te­orica di Kyoto. «È nelle nostre previsioni che ogni macchina che produca bosoni di Higgs ab­bia cattiva fortuna», ha scritto il dottor Nielsen in una email. In un testo non ancora pubblicato — ma citato dal New York Ti­mes — conclude: «Si potrebbe quasi dire che abbiamo un mo­dello di Dio (…) Anche Lui odia alquanto le particelle di Higgs, e cerca di evitarle». Con la mollica di pane?! Per­ché no: un Onnipotente col sen­so dell’umorismo. Avendo a che fare con gentaglia come noi, Gli serve di sicuro.

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Installato un nuovo radar collegato a un sistema wireless che controlla oltre 60 miglia

Il sistema è in grado di identificare in tempo reale tutte le imbarcazioni che violano l’area protetta

PORTOFERRAIO – Il Grande Occhio è già stato installato sull’isola piatta, Pianosa, una volta inferno per i mafiosi colpiti dal 41 bis, oggi cuore del Parco dell’Arcipelago con un futuro legato all’ambiente e all’ecologia. E’ un radar collegato a un sofisticato sistema wireless, capace di scandagliare e controllare e dare l’allarme in un raggio di oltre sessanta miglia marina, ovvero dalla Gorgona sino all’Argentario, sfiorando la Corsica che resta di competenza francese. Come un improbabile Poseidone e per la prima volta in Italia, il super radar avrà il dominio hi-tech del mare. «Scandaglierà ogni piccola porzione di questo tratto di Tirreno – spiega il comandante della Capitaneria di porto di Portoferraio, Nerio Busdraghi – e individuerà natanti anche di piccole dimensioni che violano lo spazio delle aree protette, contribuirà a fermare ogni attacco alla legalità».

CHI VIOLA LE LEGGE – Attacchi contro la legge del mare che si ripetono ogni anno, soprattutto in estate. I responsabili? Pescatori di frodo (lo scorso anno la Capitaneria ha sequestrato tre chilometri e mezzo di reti illegali), ma anche turisti che vogliono violare i segreti ambientali di isole parco, come per esempio Montecristo, o alcune parti di Giannutri, Pianosa, Gorgona, Cerboli, tanto per citare alcune delle zone più a rischio. Montecristo, per esempio, è una riserva biogenetica ed è vietato non solo attraccare con qualsiasi imbarcazione, ma neppure fare il bagno. Sull’isola di Dumas, vive un guardiano con la famiglia e c’è un piccolo museo. Ogni anno possono accedere solo un migliaio di persone (necessario fare domande e frequentare un corso), ma gli attacchi di natanti e pescatori di frodo sono sempre in agguato. E con essi se ne va un pezzo di ecologia da lasciare alle generazioni future. Violazioni a volte dolose e a volte provocate da imperizia o poca conoscenza delle norme. Come è accaduto questa estate a personaggi illustri come il presidente della Camera, Gianfranco Fini, sorpreso durante un’immersione in una zona protetta dell’isola di Giannutri e per questo multato. Adesso nessuna svista sarà possibile. O meglio, chi viola le normative dolosamente e colposamente sarà immediatamente individuato, bloccato e sanzionato. In futuro si prevede anche un collegamento tra navigatori satellitari e sistema. Un po’ come avviene oggi con i navigatori da auto di nuova generazione che segnalano sensi unici o divieti di svolta.

ALLARME SUGLI ABUSI IN TEMPO REALE – “L’occhio di Poseidone” avrà la capacità di individuare in tempo reale imbarcazioni anche di piccole dimensioni (tre o quattro metri) e lanciare automaticamente l’allarme alle motovedette. Un database informerà gli uomini della capitaneria sul nome del natante, dimensioni, immatricolazioni, proprietà che non potrà mai più sfuggire ai controlli e alle eventuali sanzioni che, nei casi più gravi, prevedono sequestri e denunce penali (14 quelle presentate nel 2008, 45 i sequestri, 404 i verbali).

LA SALA CONTROLLO – A Pianosa, nell’edificio condiviso da Forestale e Finanza, è stata installata anche una sala di controllo. Qui opereranno, 24 ore su 24, gli esperti della guardia costiera «Il nostro sistema sarà integrato con Argomarine, un sistema satellitare – spiega ancora Busdraghi – che sarà attivato a maggio e in futuro si connetterà con il Vts nazionale, un sistema che dal 2011 permetterà di controllare il mare come si fa con gli spazi aerei dagli aeroporti». E allora il Tirreno sarà il mare più controllato al mondo. «Senza inutili proibizionismi – commenta Umberto Mazzantini, responsabile di Legambiente Arcipelago – ma nel rispetto delle regole e soprattutto della natura. I furbetti del mare sono avvertiti». Giudizio positivo è stato espresso anche dal presidente del Parco, il ricercatore del Cnr e conduttore televisivo Mario Tozzi: “Speriamo di poter far partire il radar prima dell’estate e dare un segnale forte a tutti gli abusivi”.

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L’Einstein Telescope avrà una sensibilità cento volte maggiore rispetto agli attuali rilevatori

E’ una delle imprese più difficili e affascinanti che fisici e astrofisica abbiano davanti e nonostante la mancanza di successi insistono per arrivare ad un risultato. Stiamo parlando della caccia alle onde gravitazionali per le quali gli scienziati italiani hanno una tradizione che risale a Edoardo Amaldi e all’Università di Roma dove da tempo si lavora su questo fronte. Inoltre, vicino a Pisa è in attività l’antenna Virgo nato da un progetto dell’Istituto nazionale di fisica nucleare assieme agli scienziati francesi. E questa stazione condivide il lavoro con i tre interferometri americani LIGO, ampliando le possibilità di intercettazione.

IN EUROPA – In Europa è in funziona anche un altro osservatorio, GEO600, nato da una collaborazione tra tedeschi e britannici. Ma nonostante i grandi sforzi internazionali finora le famose onde gravitazionali sono sfuggite alla cattura. Queste sono previste dalla teoria generale della relatività e dovrebbero essere emesse da un corpo materiale accelerato, un po’ come una carica elettrica accelerata lancia onde elettromagnetiche. Tali onde, poi, dovrebbero diffondersi nello spazio attraverso un gravitone. Finora né le onde né il gravitone sono stati rilevati con sicurezza.

EINSTEIN TELESCOPE – Per affrontare con mezzi più adeguati la sfida il settimo programma quadro di ricerca dell’Unione Europea ha assegnato tre milioni di euro per uno studio preliminare dell’Einstein Telescope, cioè un osservatorio europeo specificatamente dedicato alla ricerca delle onde gravitazionali. «E’ la terza generazione di questo tipo di osservatori ed avrà una sensibilità cento volte maggiore rispetto agli attuali rilevatori», nota Michele Punturo, coordinatore scientifico del nuovo progetto. «Oltre a consentire la verifica della teoria della relatività generale – aggiunge Harald Luck, vicecoordinatore scientifico dello strumento – l’osservazione delle fantomatiche onde permetterebbero per la prima volta di dare uno sguardo alla prima infanzia dell’Universo».

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L’hanno inventata e costruita all’Università di Calgary, in Canada

Funziona perfettamente e potrebbe risolvere il problema dei tagli al gas serra che altera il clima

(da http://www.ucalgary.ca)

L’hanno battezzata «CO2 Tower», la torre dell’anidride carbonica, perché è sormontata da un grande e alto cilindro d’acciaio che svetta in posizione verticale. E’ la prima macchina per aspirare anidride carbonica direttamente dall’aria costruita dall’uomo, il sogno dei governanti e degli industriali di mezzo mondo, alle prese con il difficile esercizio dei tagli alle emissioni di questo onnipresente gas serra responsabile dei cambiamenti climatici. Il professor David Keith e il team di scienziati e tecnologi che l’hanno progettata e realizzata all’università di Calgary, Alberta, in Canada, ne illustrano senza trionfalismi le caratteristiche e le prospettive di sviluppo: «E’ un prototipo sperimentale già funzionante, un impianto relativamente semplice che si basa su tecnologie mature. Ha il pregio di poter svolgere la sua funzione in qualunque posto del pianeta, separatamente da un impianto di produzione energetica. Ne stiamo mettendo alla prova l’efficienza per verificare la nostra ipotesi che possa essere conveniente realizzarlo e distribuirlo in una molteplicità di esemplari». Nessuna promessa spericolata, insomma, ma la presentazione di una soluzione pratica e già operativa, da sottoporre al giudizio della comunità scientifica internazionale per le necessarie verifiche.

COME FUNZIONA – Alla base del funzionamento della macchina, c’è un processo chimico-termodinamico sicuro: l’aria aspirata viene posta a contatto con una pioggia di particelle di idrossido di sodio (NaOH) che provocano la separazione della CO2 presente, la quale può essere raccolta e stoccata nella forma più opportuna per il suo smaltimento (I dettagli tecnici del processo possono essere studiati nella pubblicazione scientifica disponibile online. Keith e collaboratori ci tengono a che non si faccia confusione fra la loro tecnologia e quella detta CCS (cattura e stoccaggio del carbonio), anch’essa in corso di sperimentazione in varie parti del mondo: «La CCS preleva l’anidride carbonica ai camini di centrali elettriche o industrie, dove si trova in alte concentrazioni, la nostra macchina, invece, direttamente dall’aria». E’ spontaneo chiedersi, a questo punto, quale vantaggio c’è ad aspirare CO2 dall’aria, dove è presente con una concentrazione di appena lo 0,04%, invece che dai fumi di un impianto energetico, dove la sua concentrazione balza al 10%. «Il fatto è che una larga fetta di CO2 è prodotta da sorgenti mobili: auto, aeroplani, navi, dove la tecnica CCS è inapplicabile -spiega Keith-. Di qui la necessità di pensare anche a una rimozione direttamente dall’aria».

UNA «TORRE» SU OGNI TETTO? – I primi conteggi, riferiscono Keith e collaboratori, sembrano incoraggianti: il loro prototipo richiede 100 kilowattora per tonnellata di CO2 estratta. «Questo vuol dire che, usando una centrale elettrica a carbone per alimentare la nostra macchina, per ogni unità di elettricità prodotta per farla funzionare, catturiamo CO2 dieci volte di più di quella emessa dalla centrale per il nostro fabbisogno». Insomma, l’efficienza del processo sarebbe fuori discussione. Ora c’è da valutare la convenienza economica di una produzione su larga scala di queste macchine. Galoppando con la fantasia, potremmo immaginare un futuro in cui ognuno di noi, sul tetto, accanto all’antenna della televisione, ha una torretta aspira-CO2 per smaltire i gas serra emessi dalle nostre attività quotidiane!

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Un semplice software trasforma il computer in un sismometro capace di registrare le scosse

Chiunque abbia un moderno laptop e, nel tempo libero, si voglia dedicare alla registrazione dei terremoti per contribuire alla migliore conoscenza dei fenomeni sismici è benvenuto. Negli Stati Uniti, grazie all’iniziativa di un gruppo dei geofisici della South California University, è nata la prima rete di computer privati dotati di un sensore per registrare i movimenti improvvisi del terreno e collegati a un server per la condivisione immediata dei dati raccolti. «Quake-Catcher Network», ossia «rete acchiappa-terremoti», è il suggestivo nome dato a questa comunità di appassionati, finora costituita prevalentemente da alcune centinaia di studenti americani, ma destinata a espandersi in tutto il mondo, incluso il nostro Paese dove due sismologi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) stanno allestendo il ramo italiano dell’organizzazione.

Il tracciato sismico che compare sullo schermo di un computer dopo aver scaricato il software acchiappa-terremoti

COME FUNZIONA – La possibilità di trasformare il proprio laptop in un sismometro si basa su un piccolo dispositivo interno chiamato accelerometro di cui ormai sono dotati i più moderni portatili, in particolare quasi tutti i Macintosh e i Thinkpad. L’accelerometro, nell’intento dei progettisti dei laptop, è un dispositivo di sicurezza, un sensore di bruschi movimenti che entra in funzione, per esempio, in caso di caduta dell’apparecchio, dando il comando di distacco dell’hard disk per prevenire la perdita dei dati in conseguenza dell’urto. «Abbiamo pensato che questo dispositivo, in grado di rilevare i movimenti lungo due assi orizzontali e uno verticale, poteva essere trasformato in un sismografo a tre componenti, grazie a un software da scaricare gratuitamente sul proprio computer, collegandosi a un sito appositamente allestito», spiega la sismologa Elizabeth Cochran della University of California, Riverside, uno degli ideatori e organizzatori della rete. Detto, fatto, anche noi abbiamo voluto provare a connetterci con http://qcn.stanford.edu/ , scaricare il software su un nostro piccolo Mac (che risulta, per ora, l’apparecchio più versatile per questo impiego), e avviare il programma seismac compilato dal guru dell’informatica Daniel Griscom. In un attimo, sullo schermo del nostro computer, si è aperta una finestra che mostra tre tracciati grafici scorrevoli, uno sotto l’altro, in grado di registrare i movimenti lungo gli assi X,Y e Z.

«PROVA SU STRADA» – E poi abbiamo voluto simulare un terremoto, imprimendo alla scrivania delle oscillazioni sia ondulatorie, sia sussultorie. Con straordinaria precisione, i moti sono stati registrati in modo ben differenziato sui tre assi, fornendo per ciascuno di essi un preciso valore di accelerazione in funzione del tempo. In breve, siamo entrati anche noi nella rete degli «acchiappa-terremoti»! Ovviamente, spiegano i sismologi californiani che hanno organizzato la rete, i computer casalinghi trasmettono per lo più movimenti locali non dovuti a terremoti, causati da lavori in corso, passaggio di mezzi pesanti, eccetera. Ma quando arriva la scossa di terremoto naturale, essa si distingue dai rumori di fondo per il fatto che è segnalata contemporaneamente da una molteplicità di computer molto distanti fra loro. E ciò permette di evitare i falsi allarmi.

A CHE COSA PUÒ SERVIRE – Ma qual è l’utilità scientifica della rete acchiappa-terremoti, visto che il pianeta è già cosparso da reti sismiche gestite da vari istituti di ricerca e di protezione civile? «L’utilità sta nell’avere una quantità di informazioni aggiuntive da una rete sismica molto più fitta, anche se meno precisa –rispondono i sismologi dell’INGV Patrizia Tosi e Valerio De Rubeis-. Infatti i terremoti si manifestano con una variabilità di effetti da un posto all’altro, o addirittura da un edificio all’altro, in funzione, per esempio, delle caratteristiche del suolo e dei criteri costruttivi. Avere dati puntuali aiuta a costruire le cosiddette mappe macrosismiche che descrivono in dettaglio gli effetti di un terremoto da zona a zona e che servono, in ultima analisi, per progettare meglio l’edilizia e l’urbanistica anti sismica». Tosi e De Rubeis, da dieci anni, gestiscono sul sito dell’Ingv un servizio online di raccolta di informazioni presso il pubblico finalizzato agli studi macrosismici e intitolato: «Hai sentito il terremoto?». Grazie alle migliaia di schede raccolte dopo vari fenomeni sismici, essi hanno potuto compilare finora oltre 70 mappe macrosismiche di varie città italiane. «Avevamo già pensato di compiere un salto di qualità, sfruttando i computer dotati di accelerometri interni come sismografi. Ora che lo hanno fatto i colleghi californiani, siamo ancor più convinti che una rete del genere basata su volontari italiani sia realizzabile e stiamo studiando i criteri per lanciare anche nel nostro Paese un’iniziativa analoga, supportata dal nostro Istituto».

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