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Dopo un servizio del Wall Street Journal è pronta una class action contro la Apple.

L’accusa è di trasmettere informazioni personali a società di ricerca e pubblicitarie senza il consenso di chi le usa.«Hanno trasformato le nostre proprietà personali in mezzi per spiare le nostre attività online»: a sollevare la questione, portandola in tribunale, sono due gruppi separati di cittadini americani unitisi in un’azione legale collettiva contro le applicazioni spione e i loro sviluppatori, colpevoli di divulgare informazioni personali che permettono di identificare gli utenti.

IL BUSINESS DELLE APPLICAZIONI INDISCRETE – Trentacinque miliardi di dollari: questo è il giro d’affari galoppante delle applicazioni Web. Ma i protagonisti di questo business sembrano essere poco attenti alle norme sulla privacy. Come spiega Majed Nachawati, uno degli avvocati dei consumatori, alcune applicazioni per iPad e iPhone trasmetterebbero informazioni personali a società di ricerca e pubblicitarie senza il consenso degli utenti.

CLASS ACTION – E’ stato Jonathan Lalo, cittadino di Los Angeles, il primo firmatario della denuncia destinata a trasformarsi in class action e partita dal Distretto Nord della California: nel mirino della giustizia c’è Apple, ma vengono citati anche Pandora, The Weather Channel, Dictionary.com e Backflip, sviluppatore dell’applicazione Paper Toss. In tutti i casi l’accusa è esplicita: violazione della privacy degli utenti attraverso le più popolari e scaricate app, utility e giochi.

IL WALL STREET JOURNAL LO AVEVA DETTO – La questione era già esplosa il 17 dicembre, con un articolo del Wall Street Journal intitolato: “Your Apps Are Watching You” (le tue applicazioni ti stanno guardando). Secondo l’indagine del prestigioso quotidiano infatti tra le 101 applicazioni più popolari per iPhone e Android ben 56 trasmettono l’Id unico (unique device identification number) del telefono a terzi, 47 inoltrano la localizzazione del telefono e altre 5 diffondono informazioni sul sesso, l’età e altri dati appetibili, guardandosi bene dal chiedere alcun consenso.

PROFILAZIONE DELL’UTENTE – Le terze parti in questione, alle quali viene inoltrata con disinvoltura la mole di dati, sarebbero società di comunicazione e aziende pubblicitarie e le applicazioni considerate meno discrete sono TextPlus (popolare applicazione iPhone per inviare messaggini gratis), Pandora (applicazione per l’ascolto di musica per Android e iPhone), il gioco PaperToss e il social network per iPhone dedicato alla comunità gay Grindr. Sia Apple che Google hanno risposto in maniera evasiva alle accuse del Wall Street, sminuendo il problema e ipotizzando una svista, ma ben 45 delle 101 applicazioni prese in esame non propongono una policy né sul sito del produttore né nell’applicazione. Dietro c’è il solito problema del tracking online, vero business dei giorni nostri alla rincorsa della profilazione dell’utente, anche se Apple continua a sostenere l’anonimato dei dati raccolti. Ora Jonathan Lalo e gli altri firmatari chiedono, oltre il risarcimento danni, la cancellazione delle informazioni registrate e la fine del tracciamento dei dati personali. A meno che non ci sia esplicito consenso, si intende.

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