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Archive for the ‘Senza categoria’ Category

Con l’aggiornamento dell’algoritmo di ricerca denominato Panda Update, Google dichiara ufficialmente guerra alle Content Farm, cercando di dare minor peso ai loro contenuti nei risultati di ricerca e dare un vantaggio ai veri produttori di contenuti originali.
Per chi non sapesse cos’è una Content Farm, si può dire sia una sorta di aggregatore di notizie che aggiunge poco o nulla di nuovo alle informazioni della fonte originale e che punta molto sulla quantità, spesso copiando i contenuti di altri siti. Come sappiamo, l’algoritmo di Google premia sicuramente gli aggiornamenti costanti e forse qualcuno ne ha abusato veramente troppo in passato, scalando i risultati di ricerca.

Chiunque abbia un blog od un sito, avrà notato che spesso e volentieri si viene superati nei risultati di ricerca da aggregatori che magari dal motore di ricerca vengono considerati siti con più autorità, magari soltanto perché risultano online da tanto tempo e dispongono di moltio contenuti, anche se magari di pessima qualità perchè “copiati” (anche se la maggior parte degli aggregatori riporta una parte degli articoli e poi rimanda al post originale mediante un link).

Ecco quindi tutti i siti con il traffico crollato dopo l’aggiornamento dell’algoritmo di google, si tratta di crolli a 2 cifre quasi sempre superiori al 50% che colpiscono molte content farm (fonte searchmetrics):

 

Ecco invece chi ha tratto beneficio dalle nuove ricerche di Google Panda guadagnando un bel po’ di visitatori in più a discapito delle content farm:

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Un’azienda su cinque ha installato servizi di messaggeria istantanea interna. Distrae meno ed è più rapida: “Meglio della posta elettronica”

IL TELEFONO l’ha già seppellito. Le lettere cartacee, le ha incenerite. Adesso la chat aziendale punta all’obiettivo grosso: strappare alle email il ruolo di strumento più veloce, economico e diffuso per comunicare in ufficio. Impresa non facile, se si considera che nei cinque paesi più ricchi d’Europa vengono scambiate 3,6 miliardi di e-mail al giorno, 560 milioni solo in Italia. Il servizio di messaggeria istantanea interno è sicuramente più immediato e interattivo. Si va diretti al punto, non si perde tempo in convenevoli, è interazione immediata e senza filtri, come quella necessaria tra due colleghi che devono fissare una riunione, decidere un progetto o stabilire un orario. Ma alle aziende risolve anche un altro problema, più legato alla produttività. Si riducono drasticamente le distrazioni e i fraintendimenti tra i dipendenti. E per questo una su cinque in Italia ha tagliato la vecchia email installando chat interne.

In media ogni utente, quindi ogni dipendente, utilizza due caselle private, oltre a quella aziendale. Spende circa un’ora al giorno per leggere le lettere, rispondere ai messaggi, cancellare tonnellate di mail spazzatura. In ufficio si apre la posta di lavoro per controllare le comunicazioni dei colleghi e si finisce a scartabellare virtualmente tra 31 mail, che sono quelle che un utente riceve mediamente ogni giorno e alle quali quasi sempre risponde. La metà delle lettere digitali riguarda questioni di lavoro, certo. Ma il resto sono potenziali disattenzioni lavorative: da lettere
di news e informazione (34%), a quelle che trattano di viaggi (20%), l’arte (18%), lo sport e la cucina (13 %). Con la chat aziendale, il tempo perso si riduce al minimo, perché la comunicazione viene incanalata tutta lì. Non ci sono scuse per controllare le caselle di posta private o svagarsi su altri social network.

È anche per questo che il 20 per cento delle ditte italiane, secondo una ricerca di Manageritalia, ha creato reti interne di messaggeria istantanea, ad uso esclusivo dei propri lavoratori. Niente Facebook, Linkedin, Messenger e compagnia. Per i guru del web come Google Italia, Microsoft, Cisco è quasi una filosofia di vita, “chatto ergo sum”. I dipendenti possono stare sempre connessi e comunicare anche da casa, grazie agli smartphone. Google ha attivato servizi di videochat istantanea. E sono nate community interne, veri e propri social network aziendali. “Si scambiano idee, suggerimenti, ma anche foto e video – dice Enrico Pedretti, capo marketing di Manageritalia – è il modo migliore di fare “team building”, di rafforzare cioè la coesione tra i lavoratori e il legame con l’azienda. Le chat interne e le community diventano fondamentali quando due o più persone devono lavorare allo stesso progetto e si trovano in stanze diverse, se non in città diverse. Con le email spesso, su questioni complicate, si creano incomprensioni e dubbi, che si chiarificano solo mandando altre email. Insomma si perde tempo”.

E il rischio che uno scambio di lavoro via chat si trasformi in una chiacchierata da bar? “I fannulloni ci sono sempre stati – risponde Pedretti – c’erano prima delle email e delle chat e ci saranno poi. Le aziende che scelgono il servizio di messaggeria istantanea interna, per tagliare o ridurre l’uso delle caselle di posta esterne, fanno firmare delle policy ai dipendenti e quindi, come con la posta aziendale, hanno il diritto di fare dei controlli”. L’età della pensione della posta elettronica, però è ancora lontana. Nata nel 1972, è entrata a far parte delle nostre vite nella seconda metà degli anni Novanta. “Rispetto alla chat mantiene un tono più formale che spesso in azienda è ancora richiesto – osserva Alessandra Ceccarelli, vicedirettore di Federmanager – oltretutto è ancora indispensabile per mandare messaggi riservati, newsletter e file allegati”.

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Compiendo ricerche su Google si  basate sul Cost-per-Action: l’inserzionista paga soltanto se l’utente acquista

Google sta per introdurre tra i propri canali AdWords i cosiddetti “Product Listing Ads“. Trattasi di piccole vetrine che, posizionate su Google durante le proprie ricerche online, mettono l’utente nelle condizioni di acquistare immediatamente il prodotto cercato. I prodotti che compariranno saranno quelli caricati sul Google Merchant Center ed i pagamenti saranno possibili tramite Google Checkout

Approfondimento :

Inevitabilmente, quindi, la sfida di Google ad eBay e similari diviene diretta: sebbene riprodotta sotto forma di advertising, la vetrina dei Product Listing Ads è in pratica un modo per avvicinare acquirente e venditore rendendo la vita difficile ai marketplace esistenti. Inserita a livello teorico come un annuncio pubblicitario, la lista dei prodotti è però in pratica un piccolo marketplace insinuatosi tra Ebay e potenziali clienti. Si rinnova quindi una vecchia sfida mai del tutto sopita , sfida nella quale Google ha però sempre sofferto la presenza ingombrante e storica del concorrente. Così è stato inizialmente con Google Base (ed oggi la concorrenza non si limita certo al solo eBay); così sarà presto con Skype (se sarà confermata l’acquisizione di Gizmo); così è già per Google Checkout, da sempre surclassato dal dominio di PayPal.

I nuovi annunci indicano all’utente una immagine del prodotto, il nome ed alcuni prezzi. Il pagamento non avviene in virtù del click sull’annuncio, ma soltanto in caso di acquisto. Per l’inserzionista, quindi, non c’è onere alcuno ed i guadagni di Google scattano soltanto nel momento in cui l’acquisto viene formalizzato. Facile, peraltro, tener traccia dell’intera filiera poiché Google controlla tanto gli account dell’acquirente, quanto quelli del venditore, quanto ancora quelli del sistema di pagamento.

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Dopo un servizio del Wall Street Journal è pronta una class action contro la Apple.

L’accusa è di trasmettere informazioni personali a società di ricerca e pubblicitarie senza il consenso di chi le usa.«Hanno trasformato le nostre proprietà personali in mezzi per spiare le nostre attività online»: a sollevare la questione, portandola in tribunale, sono due gruppi separati di cittadini americani unitisi in un’azione legale collettiva contro le applicazioni spione e i loro sviluppatori, colpevoli di divulgare informazioni personali che permettono di identificare gli utenti.

IL BUSINESS DELLE APPLICAZIONI INDISCRETE – Trentacinque miliardi di dollari: questo è il giro d’affari galoppante delle applicazioni Web. Ma i protagonisti di questo business sembrano essere poco attenti alle norme sulla privacy. Come spiega Majed Nachawati, uno degli avvocati dei consumatori, alcune applicazioni per iPad e iPhone trasmetterebbero informazioni personali a società di ricerca e pubblicitarie senza il consenso degli utenti.

CLASS ACTION – E’ stato Jonathan Lalo, cittadino di Los Angeles, il primo firmatario della denuncia destinata a trasformarsi in class action e partita dal Distretto Nord della California: nel mirino della giustizia c’è Apple, ma vengono citati anche Pandora, The Weather Channel, Dictionary.com e Backflip, sviluppatore dell’applicazione Paper Toss. In tutti i casi l’accusa è esplicita: violazione della privacy degli utenti attraverso le più popolari e scaricate app, utility e giochi.

IL WALL STREET JOURNAL LO AVEVA DETTO – La questione era già esplosa il 17 dicembre, con un articolo del Wall Street Journal intitolato: “Your Apps Are Watching You” (le tue applicazioni ti stanno guardando). Secondo l’indagine del prestigioso quotidiano infatti tra le 101 applicazioni più popolari per iPhone e Android ben 56 trasmettono l’Id unico (unique device identification number) del telefono a terzi, 47 inoltrano la localizzazione del telefono e altre 5 diffondono informazioni sul sesso, l’età e altri dati appetibili, guardandosi bene dal chiedere alcun consenso.

PROFILAZIONE DELL’UTENTE – Le terze parti in questione, alle quali viene inoltrata con disinvoltura la mole di dati, sarebbero società di comunicazione e aziende pubblicitarie e le applicazioni considerate meno discrete sono TextPlus (popolare applicazione iPhone per inviare messaggini gratis), Pandora (applicazione per l’ascolto di musica per Android e iPhone), il gioco PaperToss e il social network per iPhone dedicato alla comunità gay Grindr. Sia Apple che Google hanno risposto in maniera evasiva alle accuse del Wall Street, sminuendo il problema e ipotizzando una svista, ma ben 45 delle 101 applicazioni prese in esame non propongono una policy né sul sito del produttore né nell’applicazione. Dietro c’è il solito problema del tracking online, vero business dei giorni nostri alla rincorsa della profilazione dell’utente, anche se Apple continua a sostenere l’anonimato dei dati raccolti. Ora Jonathan Lalo e gli altri firmatari chiedono, oltre il risarcimento danni, la cancellazione delle informazioni registrate e la fine del tracciamento dei dati personali. A meno che non ci sia esplicito consenso, si intende.

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IL DECRETO sulla televisione (e non solo) appena entrato in vigore aiuterà probabilmente Mediaset (e con
lei tutti i produttori di contenuti televisivi) nella guerra contro i motori e i siti internet che utilizzano senza quasi
mai pagare dazio i loro prodotti.

Intanto il Tribunale di Roma ha recentemente respinto il reclamo di Youtube
e confermato il provvedimento emesso il 16 dicembre dello scorso anno che condannava l’azienda web a
rimuovere dai server tutti i contenuti illecitamente caricati. Il riferimento specifico è stato agli spezzoni del
"Grande Fratello" ampiamente in testa nelle classifiche dei video più cliccati. L’ordinanza ha ribadito che
anche i siti come Youtube devono rispondere alle consuete regole commerciali: contrariamente a quanto
avveniva finora, adesso solo chi investe in contenuti ha il diritto di sfruttarli economicamente anche online:
attraverso la raccolta pubblicitaria o altre fonti di ricavo. «E’ una questione di principio – spiega Marco
Giordani di Mediaset a "Prima" – su che ruolo gioca YouTube. Se è un editore e vuole i nostri contenuti li deve
comprare. Se invece è solo una piattaforma tecnologica, non può vendere pubblicità collegata a contenuti di
terzi»

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L’avvocato-blogger che mette sottosopra il mondo dei professionisti

«Mondanità trash e giovani supersfruttati: l’ironia è diventata la mia arma di sopravvivenza»

"Duchesne" con il suo libro, in uscita per Marsilio

Ormai è un eroe, anche se il nome l’ha trovato aprendo a caso un dizionario. Si chiama Duchesne — «un cognome inglese di cui non so la pronuncia», confessa —, ha trent’anni, è milanese e fa l’avvocato in un grande studio d’affari. Duchesne è lo pseudonimo con cui nell’aprile 2007 ha aperto il blog «Studio illegale», che è diventato un cult tra gli avvocati con 1.500 contatti quotidiani e che ora è il titolo di un libro (Marsilio) che in poche settimane è arrivato alla seconda edizione. Un romanzo divertente, cinico e malinconico che si legge d’un fiato seguendo le avventure di Andrea Campi, un protagonista che si presenta dicendo: «Sono un professionista serio. Ultimamente non sto molto bene». Lo pseudonimo è fondamentale, non per le rivelazioni finanziarie, ma per quelle umane: un umorismo spietato su un ambiente di ricchi avvocati che passa dai capital markets alle escort di lusso a «Oh, dite quello che volete, ma a me la De Filippi mi fa sesso», in una Milano riconoscibile. Un mondo che l’autore racconta grazie alla doppia identità, avvocato di giorno e blogger di notte.

L’intervista del Corriere…

La prima domanda è d’obbligo: ti hanno scoperto?
«Nessuno, anche se il libro è pieno di fatti autobiografici, messaggi cifrati e tributi».

Qualcuno sa della tua doppia vita?
«Un paio di amici, la mia ragazza e la mia migliore amica: le ho spedito il libro dopo che mi ha scritto "Finalmente ho smesso di leggere il blog di quel fetente", ci ero rimasto male…».

Tra colleghi si parla del libro?
«Sì, e io mi imbarazzo, ma ormai ho imparato a riferirmi in terza persona a Duchesne, anzi, a volte lo disprezzo».

Già, ma chi è Duchesne?
«Sono io, ma non sono io: è il mio alter ego, nasce dalla realtà ma invento anche molti episodi».

Perché hai aperto il blog?
«Stavo veramente male, lavoravo fino all’una quasi tutti i giorni, facendo anche duemila euro al mese, ma non avevo una vita privata, allora mi sono detto "Adesso racconto tutto" ».

Chi sono i tuoi lettori?
«Ormai gente di ogni tipo, ma principalmente colleghi, dai senior che sostengono che "sputtano" la professione agli junior che si trovano nella mia situazione».

I personaggi: sono veri?
«Dipende, il collega arrivista esiste per davvero, mentre il boss è la summa di tutti i capi che si possono avere, come diceva Fitzgerald: "Ci vogliono almeno dieci persone per fare un personaggio"». (Non un Azzeccagarbugli qualunque, ma lo scrittore Francis Scott Fitzgerald, ed è conoscendo gente così che Duchesne è diventato socio di un vecchio studio rispettato, quello letterario)».

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l’avveniristica costruzione dovrebbe sorgere ad Alessandria d’Egitto

Il costo supererà i 140 milioni di dollari. I lavori dovrebbero partire all’inizio del 2010

Ecco il punto dove dovrebbe sorgere il museo sott’acqua (architetto Jacques Rougerie)

Passeggiare sott’acqua e ammirare i reperti di una delle civiltà più antiche del mondo. Il governo egiziano ha confermato la costruzione di un gigantesco museo sottomarino nel Mediterraneo: l’avveniristica costruzione dovrebbe sorgere ad Alessandria d’Egitto, il più importante centro culturale dell’ellenismo dove un tempo sorgeva l’imponente palazzo reale di Cleopatra e il mitico Faro. Come tante opere dell’antichità queste due costruzioni furono distrutte da due terribili terremoti (la residenza della regina Cleopatra s’inabbissò nel V secolo D.C. mentre il Faro d’Alessandria riuscì a sopravvivere altri nove secoli) e i reperti furono inghiottiti dal mare. Adesso grazie a tunnel sottomarini e a strutture supertecnologiche i turisti di tutto il mondo potranno contemplare i tantissimi reperti della celebre civiltà egiziana seppelliti negli abissi.

LAVORI – I lavori dovrebbero partire all’inizio del 2010 e terminare entro due anni e mezzo: adesso si attende il definitivo ok di una Commissione internazionale scientifica istituita dall’Unesco che dovrebbe confermare che la costruzione non danneggerà i reperti sommersi. Il progetto del museo sottomarino è stato affidato a Jacques Rougerie, architetto francese di fama mondiale che in passato ha già portato a termine ambiziose opere. La costruzione si dovrebbe estendere su una superficie di 22.000 metri quadrati e secondo i dati presentati dall’architetto potrà ospitare fino a 3 milioni di visitatori all’anno.

PROBLEMI – Uno dei dilemmi che ostacolano il progetto è quello dei finanziamenti. Il governo egiziano si è accollato le spese, che dovrebbero superare i 140 milioni di dollari, ma spera che compagnie private partecipino economicamente alla costruzione. Inoltre non mancano problemi tecnici e di logistica. Tra questi quello che più preoccupa gli ingegneri è se la struttura sarà abbastanza forte da resistente alle correnti sottomarine. «Come idea è perfetta» dichiara al Guardian di Londra Ashraf Sabri che lavoro per un centro subacqueo specializzato in archeologia marina. «Però bisognerebbe esplorare bene i territori sottomarini e fare un lavoro scientifico per capire cosa si può fare e cosa no. Tutto ciò però non è stato ancora fatto».

CAPITALE CULTURALE – Dopo i fasti del passato Alessandria, sebbene ogni anno ospiti circa 12 milioni di turisti, non è più una delle grandi capitali dell cultura internazionale. Anche a livello locale Il Cairo e Luxor continuano ad attrarre più investimenti e turisti. La costruzione di questo incredibile museo potrebbe riportarla in auge: «Per troppo tempo la grande storia e il multiculturalismo di Alessandria non sono state sufficientemente rispettate» dichiara Naguib Amin, manager del «Supreme Council for Antiquities». A chi accusa i governanti egiziani di sprecare inutilmente soldi e che la somma poteva essere usato per ristrutturare i tanti edifici fatiscenti presenti nella città di Alessandria, il manager risponde: «Siamo certi che il museo sarà una componente essenziale che rivitalizzerà la città».

                                                                                                      

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