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Archive for the ‘Salute e Benessere’ Category

E’ un’organizzazione che si sta diffondendo capillarmente in tutta Italia. Ma soprattutto è un stile di vita. Insegna come sviluppare il potenziale del cane e della relazione con lui servendosi di esercizi che vengono sviluppati qui e poi accolti dal resto dell’ambiente cinofilo. ThinkDog è stata la prima società cinofila ad applicare a casi reali tecniche, metodi e protocolli di impronta cognitivo-relazionale.

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ESPERIMENTO IN CANADA

Misurando la radiazione infrarossa è possibile cogliere, per esempio, la preferenza fra due opzioni

Il rilevatore a infrarossi indossato da uno dei ricercatori che ha effettuato l’esperimento (Bloorview Kids Rehab)

Attraverso la misurazione dell’intensità della radiazione infrarossa assorbita dal tessuto cerebrale è possibile stabilire per esempio, e con un buon grado di sicurezza, le preferenza di una persona tra due bevande. Secondo uno studio dei ricercatori del Bloorview (uno dei più importanti centri per la riabilitazione pediatrica) pubblicato sul Journal of Neural Engineering, lo scanner a infrarossi può funzionare infatti nella lettura del pensiero spontaneo con un’attendibilità dell’80 per cento dei casi. E senza ipotizzare risvolti quasi magici, questo primo passo avanti degli scienziati canadesi può essere cruciale nella cura di bambini con gravi disabilità della parola o con patologie come l’autismo o ancora nel caso di piccoli pazienti paralizzati.

L’ESPERIMENTO – I volontari, rigorosamente adulti, hanno indossato un casco a fibre ottiche che emanava una luce nella corteccia pre-frontale. Successivamente sono state mostrate sullo schermo del computer due bevande differenti, chiedendo a coloro che si sono prestati al test di esprimere una preferenza nella loro mente. I ricercatori hanno poi studiato le reazioni, partendo dal presupposto che a fronte dell’attività del cervello l’ossigeno nel sangue aumenta e, a seconda della concentrazione, assorbe più o meno luce. La risposta a un impulso sgradito può essere soggettiva e alcune persone reagiscono aumentando l’attività cerebrale, altre esattamente al contrario. Una volta osservato, da parte degli studiosi, il modo di reagire di ciascun volontario e istruendo opportunamente il computer, si è potuto stabilire poi la bibita preferita, «sbirciando» nei pensieri dei volontari.

I PARERI – «Si tratta del primo sistema che decodifica naturalmente i pensieri spontanei – spiega Sheena Luu, dell’Università di Toronto – ed è chiaro che costituisce solo una prima tappa nella cura e nel sostegno di alcune patologie, ma si tratta comunque di un risultato importante». Per il momento è impensabile interpretare la mente dei piccoli (e a maggior ragione dei grandi) nella totalità e nel disordine caotico dei pensieri, ma il sistema può trovare applicazioni importanti in situazioni di scelta limitata, riducendo il più possibile gli elementi di contesto

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Recuperare nozioni e immagazzinarne di nuove, un meccanismo evita il conflitto

Una lotta costante fra vecchio e nuovo. Succede continuamente nel cervello quando due diversi tipi di memoria – il recupero di ricordi immagazzinati e l’apprendimento di nuove esperienze – cercano di attivarsi nello stesso momento.
La capacità di imparare cose nuove, ricordando contemporaneamente informazioni acquisite, è data per scontata nell’uomo, eppure alla base di un comportamento comune, che entra in gioco in quasi tutte le situazioni sociali – come durante una conversazione, quando si ascoltano nuove informazioni e se ne recuperano di già note per preparare la risposta successiva, oppure quando ci si trova a guidare in una città sconosciuta, interpretando segnali stradali noti – c’è un meccanismo complesso, in cui il recupero di una nozione e l’apprendimento di un dato nuovo si trovano in competizione.
Una ricerca scientifica pubblicata su PLoS Biology ha ora "fotografato" in modo chiaro questa lotta. E suggerisce che a mantenere l’ordine nel cervello intervenga una sorta di "centralino" che risolve il conflitto, attivando rapidamente l’una o l’altra funzione. "E’ la prima conferma chiara, sia da un punto di vista comportamentale che neurologico" spiega Sander M Daselar, del centro di neuroscienze dell’Istituto Swammerdam dell’Università di Amsterdam, co-autore dello studio.
Insieme a Willem Huijbers, Cyriel M. Pennartz, sempre dell’ateneo olandese, e al collega Roberto Cabeza della Duke University a Durham, in North Carolina, Daselar ha sottoposto un gruppo di giovani a un esperimento: venivano mostrate una serie di parole su uno schermo e i partecipanti allo studio dovevano rapidamente ricordare se avevano studiato in precedenza tali parole o meno. Simultaneamente, sullo sfondo dello schermo apparivano delle immagini colorate. L’attività del loro cervello è stata monitorata attraverso una risonanza magnetica funzionale. Dopo lo scan, i partecipanti a sorpresa hanno dovuto rispondere ad un altro test di memoria, che questa volta riguardava le immagini.

Risultato? E’ più difficile imparare a riconoscere le immagini se allo stesso tempo si è impegnati nel ricordare una parola. Allo stesso modo, se si dimentica la parola diventa più facile apprendere l’immagine. E quando si recuperano ricordi, si "spegne" l’attività del cervello collegata all’apprendimento, spiegano i ricercatori.
"Nonostante il chiaro meccanismo di competizione – spiega sempre Daselar – alcune persone riuscivano comunque ad apprendere e a ricordare allo stesso tempo. Allora abbiamo iniziato a cercare se ci fosse una specifica area cerebrale responsabile". E l’hanno trovata: c’è una regione del cervello che risulta attiva sia durante l’apprendimento che durante il ricordo, ed è situata nella parte frontale sinistra del cervello.
Secondo gli scienziati è proprio quest’area, la corteccia prefrontale ventrolaterale, a regolare le due diverse modalità della memoria, permettendo il passaggio rapido dall’una all’altra. "La cosa interessante è che questa regione è risultata coinvolta in modo specifico in quelle persone che mostravano una soppressione minima della capacità di apprendere. In queste persone, quindi, la competizione fra ricordo e apprendimento è minore rispetto agli altri, perché il "centralino" permette loro di apprendere e ricordare quasi contemporaneamente, passando rapidamente da un processo all’altro", dice ancora lo scienziato.
E’ un’area già nota ai ricercatori: i pazienti in cui è danneggiata hanno difficoltà ad adattarsi rapidamente a nuove situazioni, mentre tendono a seguire vecchie regole. Spesso risulta alterata nelle persone anziane, che mostrano minore flessibilità quando è richiesto un rapido passaggio dall’apprendimento alla memoria come, ad esempio, mentre si segue una conversazione, che diventa in questo caso necessariamente più lenta e difficoltosa.
"E’ una regione del cervello chiamata direttamente in causa anche in una serie di disturbi dell’impulsività e compulsività e nel disturbo ossessivo", aggiunge il professor Stefano Pallanti, dell’Università di Firenze, direttore dell’Istituto di neuroscienze. "Se funziona in modo anomalo, dà origine ad una serie di disturbi". Capirne meglio il funzionamento, con ulteriori studi, potrebbe portare a comprendere più a fondo le conseguenze pratiche nei pazienti che non riescono a passare dall’una all’altra modalità di memoria in modo corretto e a scoprire se il "centralino" può essere migliorato attraverso l’allenamento.

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Perché Interphone non e’ ancora stato reso pubblico?

I dati emersi rimangono misteriosamente in attesa di pubblicazione

Le informazioni contenute nello studio Interphone – un progetto internazionale da 15 milioni di euro coordinato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) per identificare possibili relazioni tra tumori di testa e collo e utilizzo dei telefoni cellulari – avrebbero dovuto essere rese pubbliche più o meno tre anni fa, ma i ricercatori coinvolti nel progetto continuano a tergiversare e non si decidono a rivelare i risultati della ricerca. Come mai?

SOSPETTI – Secondo indiscrezioni, il motivo di tale ritardo risiederebbe nel fatto che le informazioni raccolte negli ultimi 10 anni nei 13 Paesi interessati dall’indagine confermerebbero la pericolosità del dispositivo portatile più popolare del mondo. Ma la spiegazione ufficiale di tale ritardo è un’altra. A quanto pare, infatti, gli scienziati sono divisi: stanno discutendo dell’attendibilità dei dati forniti dai pazienti e non riescono ad accordarsi sull’interpretazione degli stessi in rapporto alle emissioni elettromagnetiche. Come ha spiegato l’oncologo svedese Lennart Hardell, la «memoria fallibile» di chi è malato di tumore al cervello è il motivo principe del disaccordo tra gli specialisti: secondo alcuni, le informazioni fornite dai pazienti che hanno partecipato alla ricerca potrebbero non essere attendibili, e questo vizierebbe di fatto i risultati del rapporto Interphone. Quindi pubblicare i dati così come sono «non sarebbe onesto nei confronti dei consumatori: lo studio è stato pagato con soldi pubblici e gli scienziati hanno una responsabilità», ha sottolineato Hardell.

PUBBLICAZIONI E CAUTELA – Tuttavia, alcune delle nazioni coinvolte nel progetto hanno già pubblicato parte dei risultati, rivelando dati poco rassicuranti. Come per esempio che il rischio di ammalarsi di tumore è più elevato per i cosiddetti heavy users, ossia coloro che hanno utilizzato il cellulare sempre dallo stesso lato della testa per un periodo di tempo superiore ai 10 anni, Ma la World Health Organization la Commissione europea hanno provveduto ad avvertire che fino a quando lo studio Interphone non sarà ufficialmente reso pubblico, qualsiasi conclusione sui rischi derivanti dall’uso del telefonino non potrà essere considerata attendibile. E a quanti seguitano a chiedere quando saranno finalmente diffusi i dati di Interphone, i responsabili rifilano sempre la solita risposta standard: «Se tutto va bene, presto».

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Medicina/L’iPhone con cartella clinica e il cerotto che «parla» al medico via sms

Negli Usa ogni 30 programmi di ricerca tecnologica in medicina 17 riguardano i telefonini

Si applica sulla pelle come qualunque altro cerotto, ma contiene un sensore capace di misurare la glicemia, la temperatura, le reazioni allergiche e altri dati rilevanti, ad esempio, per la diagnosi di malattie cardiocircolatorie. Questo speciale «band aid» trasmette i dati al cellulare che, a sua volta, li invia al medico o all’infermiera che segue il paziente.

Non è un esperimento: il prodotto, messo a punto dai ricercatori della Gentag, una società americana di telemedicina, comincerà a essere venduto in Europa durante l’estate. Tra un mese, poi, Life Records — altro pioniere Usa del software per la salute — introdurrà sul mercato un’applicazione che consente di avere accesso a tutte le informazioni mediche personali conservate nei sistemi informatici. Il servizio, che costerà 50 dollari l’anno, è per ora riservato a chi dispone di un iPhone: il cellulare «intelligente » della Apple dotato di una tecnologia di riproduzione e scorrimento delle immagini che facilita la consultazione sul piccolo schermo dei risultati di ecografie, lastre, elettrocardiogrammi.

Nell’ultimo mezzo secolo la tecnologia ha consentito alla medicina di fare progressi straordinari, ma ne ha anche moltiplicato i costi: basti pensare alla frequenza con la quale le radiografie sono state sostituite da risonanze magnetiche e Tac. O al prezzo elevatissimo dei nuovi farmaci biotech. Ma una parte di queste tecnologie — quelle informatiche — dovrebbero anche avere la capacità di ridurre drasticamente i costi di produzione dei servizi medici, come è già avvenuto in molti altri settori, a cominciare dalle banche. In realtà questo processo, in America, ha stentato ad affermarsi per problemi legati alla tutela della «privacy » dei dati medici messi in rete, ma soprattutto perché nessuno dei protagonisti della sanità Usa — compagnie assicurative, ospedali, medici — era disposto ad affrontare gli enormi costi della realizzazione di un sistema digitale nazionale e aveva la forza di imporre standard omogenei.
Il cambiamento è iniziato quando, un paio d’anni fa, i giganti dell’informatica e delle tecnologie mediche — da Microsoft a Cisco, da Google a General Electric — hanno deciso di cominciare a investire massicciamente nella sanità digitale.

Nello stesso periodo sono arrivati sul mercato i nuovi cellulari «intelligenti», in grado di svolgere gran parte delle funzioni fin qui riservate ai computer. La ricerca si è così concentrata sempre più in questo settore, con la speranza di dar vita a una medicina non solo digitale e a distanza, ma anche mobile. Oggi, dei 30 programmi di ricerca tecnologica in medicina finanziati dalla Microsoft in collaborazione con varie università degli Usa, ben 17 riguardano l’uso di cellulari.

Telemedicina — così come telelavoro — è una parola divenuta familiare più di dieci anni fa, ma solo ora la tecnologia è matura e le prime applicazioni cominciano ad arrivare sul mercato. Gli esperti sono, ad esempio, certi che la medicina amministrata via cellulare consentirà di curare meglio e a costi molto più bassi i pazienti delle zone rurali: il diabetico non dovrà più recarsi continuamente in un ambulatorio distante decine di chilometri, le variazioni della sua glicemia arriveranno direttamente al computer dell’infermiera che potrà usare un programma automatico di adeguamento della terapia o chiamare in causa il medico. Il sistema è anche in grado di accorgersi se un paziente — ad esempio un anziano che vive solo — dimentica di prendere la sua dose di insulina.

Sistemi di questo tipo sono in avanzata fare si sperimentazione anche in Europa, e particolarmente in Gran Bretagna: se la scatola delle pillole non viene aperta all’ora prevista, un sensore manda un allarme a un parente o a uno studio medico. Attraverso il Gps, il sistema satellitare ormai inserito in molti «smartphone», è poi possibile rintracciare facilmente il paziente. Risolto il problema tecnologico, rimane quello della «privacy»: la Commissione Europea deve decidere se autorizzare l’introduzione, dal 2011, di un sistema di «e-Call», le chiamate automatiche d’emergenza.

L’Organizzazione mondiale della Sanità è convinta che il cellulare sarà la chiave del progresso della medicina nei Paesi poveri: basti pensare che oggi la metà delle attrezzature di monitoraggio della salute inviate nel Terzo mondo rimane inutilizzata per mancanza di personale specializzato o delle parti di ricambio. In futuro basterà saper usare il telefono mobile: il resto si farà a centinaia o migliaia di chilometri di distanza. Ma anche nelle zone più ricche la nuova tecnologia può consentire non solo risparmi, anche miglioramenti delle cure. In California il San Mateo Medical Center ha creato da tempo BeWellMobile, sistema destinato a chi soffre di asma e diabete, basato sulla trasmissione quotidiana di dati ai propri medici. Un test durato due anni ha dimostrato che nessuno dei pazienti che in precedenza si era ritrovato in zona-pericolo e quindi era finito al pronto soccorso, ha più avuto bisogno di un intervento medico di emergenza.

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Il segreto più importante è la regolarità e il rispetto del proprio orologio biologico

Il sonno perfetto esiste? Sì secondo il professor Luigi Ferini-Strambi, direttore del centro di medicina del sonno dell’ospedale San Raffaele di Milano, che ha appena scritto un libro con questo titolo insieme a Manuela Campanelli (Sperling & Kupfer). «Il sonno perfetto» spiega l’esperto «è quello che ci fa “funzionare” bene di giorno». Come conseguirlo? «La prima regola per avere un buon sonno è essere regolari» precisa l’esperto, «andare a letto sempre alla stessa ora è fondamentale. Bisogna corrispondere alle esigenze del proprio orologio biologico». ..

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Ogni seduta, per ora offerta in giappone e stati uniti, costa circa 230 euro

Lanciato sul mercato il trattamento di bellezza della casa giapponese Umo. Una maschera per il viso a 24 carati

Premettiamo che il costo per ogni trattamento è di circa 230 euro. La crema anti-età che viene applicata, tuttavia, non è composta da qualche erba o da altri intrugli sintetici e naturali.

La singolare maschera facciale proposta dalla compagnia giapponese Umo è infatti tutta in oro.

TRATTAMENTO VISO – Il trattamento viso (della durata di 80 minuti) avviene con delle foglie d’oro a 24 carati e promette di lasciare la pelle liscia, pura e visibilmente ringiovanita oltre a restituire al viso energia e luminosità. Grazie ad una particolare tecnologia l’oro penetra nell’epidermide e viene assorbito rapidamente; drena i linfonodi, elimina le tossine; stimola la circolazione sanguinea e favorisce il processo di ringiovanimento cellulare. I risultati, sostiene Umo, sono immediati e le rughe, le occhiaie e i punti neri spariscono. Inoltre, secondo vari studi scientifici nel campo della cosmesi naturale, questo metallo stimola la produzione di fibroblasti (lo stato sottocutaneo della pelle) e accellera così la produzione di elastina e collagene, le proteine che formano l’impalcatura della muscolatura facciale. Il prodotto è stato presentato qualche mese fa in occasione della fiera «Beautyworld Japan» e viene offerto ora a quegli americani in cerca della «fonte della giovinezza» presso la lussuosa Spa «Charleston Place» del Sud Carolina, scrive il quotidiano britannico Daily Mail. Il trattamento anti-age con l’oro avrebbe però tradizioni antichissime: si dice che anche Cleopatra, ogni notte prima di addormentarsi, si mettesse sul viso una maschera di oro puro.

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Scienziati tedeschi mettono a punto una protesi del tutto impiantabile, che agisce sui terminali nervosi senza cavi

E’ la prima volta. Positivi i test su su un gruppo di volontari

  Impiantare un chip nell’occhio per ridare almeno in parte la vista ai ciechi. E’ la rivoluzionaria invenzione di un team di scienziati tedeschi. Certo ancora agli inizi, come fu l’alba della televisione negli anni Trenta, ma allo stesso modo degli inizi del tubo catodico e del piccolo schermo promette di aprire orizzonti nuovi ai non vedenti. E’ la prima volta nel mondo che viene inventata una protesi completamente impiantabile nell’occhio, che agisce sui terminali nervosi senza cavi.
Alcuni volontari privi di vista sono stati i primi a testarla. Il team di medici e ricercatori degli istituti di Marburg, Aquisgrana ed Essen ha impiantato nei loro occhi il microchip per quattro settimane. E i risultati sono incoraggianti: comincia a rinascere la capacità di vedere. Anche se i contorni delle immagini all’inizio sono sfumati, e il mondo appare in bianco e nero, non a colori. Ma non è più buio assoluto.

Il microchip è stato progettato per i ciechi colpiti da malattie della membrana. Il microchip dunque non è adatto a ridare la vista a tutti coloro che ne sono privi, ma comunque a una buona parte: si calcola che almeno un quarto dei 100-150 mila non vedenti in Germania potrebbe essere riportato al mondo della luce da questa invenzione. Un passo rivoluzionario, che potrebbe aprire la strada nel mondo della scienza e della medicina ad altre svolte per aiutare i ciechi.

Il microchip funziona così: è collegato a una minicamera portatile, che riprende le immagini e trasforma la luce in segnali e impulsi elettrici. Un trasmettitore li invia nell’occhio al chip, che contiene fino a 400 elettrodi e circuiti, in cui la corrente circola a bassissima intensità per non creare danni o fastidi. E stimola le cellule sane della membrana, così che i segnali raggiungono il nervo ottico e il cervello. Il risultato: punti di luce e contorni sono visibili. Finora, le protesi per non vedenti funzionavano solo con cavi collegati al sistema nervoso. Il nuovo sistema ideato dagli scienziati tedeschi invece invia segnali elettronici via radio.

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L’International Labour Office di Ginevra consiglia:proteine a pranzo, carbodtrati alla sera

Vuoi fare carriera? Attento a che cosa mangi. A partire dal classico cappuccino con brioche della mattina, preso di corsa al bar: niente di peggio perché troppi zuccheri e per di più raffinati provocano poi ipoglicemia e riducono, nel giro di qualche ora, le performance mentali. Meglio il muesli o una banana non troppo matura o, per chi non ne vuole sapere di buttar giù qualcosa di solido per colazione, un bicchiere di succo di frutta o uno yogurt. Il cappuccino va bene al pomeriggio: quella piccola dose di caffeina, soprattutto per chi non riesce a farsi una pennichella, serve per contrastare il calo di energia di cui i ricercatori ancora non conoscono la ragione, ma che tutti, chi più chi meno, sperimentano. Si sa che per dare il meglio di sé nella professione non si deve mai perdere la concentrazione, è indispensabile evitare tutto quello che rallenta la capacità di ideazione e la prontezza di riflessi ed è importante avere buona memoria.

TEORIE DI FEUERBACH – E l’alimentazione in tutto questo gioca un suo ruolo. Una nuova conferma alle teorie del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach (autore del libro «L’uomo è ciò che mangia», titolo diventato poi sentenza di cui altri si sono appropriati) secondo il quale «dobbiamo alimentarci meglio per pensare meglio »? La risposta è sì e a dirlo è la nutrizionista inglese Amanda Ursell che, sul Times di

Ripartizione del fabbisognmo energetico giornaliero suddiviso fra i pasti principali, lo spuntino, la merenda

Londra, sforna poi una serie di ricette per colazione, pranzo, cena e persino per gli spuntini di metà giornata, che assicurerebbero la scalata al successo. E che fanno tesoro di una serie di ricerche, condotte all’International Labour Office di Ginevra, sul rapporto fra cibo e rendimento nell’ambiente di lavoro. Qualcuno obietterà che le abitudini alimentari degli inglesi sono differenti da quelle degli italiani, ma stando alle ultime notizie la tanto decantata dieta mediterranea si sta avviando verso il tramonto anche alle nostre latitudini, complici merendine e cibi spazzatura, pranzi al ristorante e piatti pronti a casa. E allora vale la pena di ascoltare i consigli che ci arrivano d’Oltremanica. Chi crede, per esempio, che il caffè e uno snack dolce a metà mattina siano un toccasana per la concentrazione e l’attenzione sul lavoro, si sbaglia: la caffeina aumenta il battito cardiaco e innervosisce, lo stomaco si gonfia e gli zuccheri vengono presto assorbiti lasciando un senso di fame. Semmai è più utile una barretta di cioccolato (organico, dice la Ursell) perché sopprime l’appetito. E consente di arrivare all’ora di pranzo. L’ora delle proteine, secondo gli specialisti: perché aiutano a combattere la sonnolenza pomeridiana e il calo di attenzione. Ottime le uova (e per chi riesce a mangiarlo il tofu) perché sono ricche di colina, indispensabile per fabbricare acetilcolina, una sostanza del cervello che aiuta la memoria. Vanno bene anche le carni rosse e bianche, purché magre, e il pesce. Pane e pasta, e in generale i carboidrati, vanno lasciati per la cena perché hanno un effetto rilassante sul cervello e favoriscono il sonno. Un ultimo consiglio per chi dubita di tutti questi suggerimenti: guardate chi siede nelle poltrone di comando, difficilmente vedrete persone grasse.

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Quando ho incominciato a studiare l’innamoramento, la gente faceva una grande confusione fra innamoramento, cotte, infatuazioni e attrazioni momentanee. Alcuni dicevano: «Io mi innamoro in continuazione». Oppure: «Le amo tutt’e due». In questo guazzabuglio, ho scartato le forme di pseudo- innamoramento e descritto quello vero, l’unico che tende a diventare amore duraturo. Nell’innamoramento c’è una prima fase in cui i due innamorati vivono una straordinaria esperienza di trasfigurazione del mondo e della persona amata. E’ lo stato nascente. Molti però pensano che si tratti solo di una violenta tempesta emotiva e ritengono che la costruzione della coppia stabile avvenga dopo, a opera della ragione e della volontà. No. E’ proprio all’inizio che avviene il processo di fusione delle personalità e vengono prese le decisioni fondamentali da cui nasce l’amore che dura. La passione dell’ innamoramento, infatti, non è solo un uragano di sentimenti: è anche una intensissima attività intellettuale in cui i due innamorati si studiano, rimettono in discussione le proprie vite, scoprono le loro tendenze più profonde, fanno progetti e gettano le basi del loro rapporto futuro. Ciascuno di loro vuol saper tutto del suo amato, vuol vedere il mondo come lui lo ha visto da adolescente, da giovane, vuol partecipare delle sue gioie e dei suoi dolori. E, nello stesso tempo, vuol raccontargli tutto di se stesso, della sua vita, dirgli le sue speranze, le sue delusioni, i suoi sogni. Molti ascoltano così avidamente la storia di vita del loro amato, vi partecipano così intensamente da avere l’impressione di essere sempre stati accanto a lui, di averlo osservato (non visti) con ansia, con commozione, perché lo amavano già allora. L’amore dell’innamoramento abbraccia tutto: il presente, il passato e il futuro. Mescola il tempo e lo spazio per cui abbiamo l’impressione di aver amato il nostro diletto anche quando non ci conosceva ancora, anche quando magari stava con qualcuno. E ci sembra di essere stati fatti apposta l’uno per l’altro, di essere stati predisposti a innamorarci, di esserci sempre inconsciamente aspettati. Molti innamorati arrivano a chiedere: «Perché non ti ho incontrato prima, amore? Perché sei arrivato così tardi?». E’ grazie a questa corrispondenza, a quest’intreccio temporale che l’amore diventa duraturo, perché nessuno può pensare a se stesso senza l’altro, né oggi né ieri né domani. Per tutta la vita.

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